Disperato grido d’allarme

Dal food truck, settore che non può essere dimenticato

Il food truck è  un’interessante branca della ristorazione. Non è una novità in assoluto. Esiste da tempo. In passato però era limitato. Serviva soprattutto piadine, spesso industriali, nelle fiere. Insomma, tanta quantità. Da qualche tempo è cambiato, in meglio. E spesso offre proposte gourmet o, quantomeno, interessanti. Il food truck è una delle vittime del Covid, ma con una differenza: è stato dimenticato dalle istituzioni. Per questo motivo c’è chi lancia un grido d’allarme. È un gruppo di professionisti dello street food che vivono in Romagna. Pochi anni fa abbiamo unito forze e competenze e ci siamo dati un nome: Romagna in Truck. 

Con i loro food truck in stile vintage hanno animato tantissimi eventi pubblici e privati portando qualità, serietà e tanta voglia di fare.

La stagione lavorativa nel loro settore dura circa nove mesi all’anno, dalla fine dell’inverno a Natale; nei due mesi più freddi gli eventi all’aperto subiscono un arresto e ne approfittano per fare le manutenzioni dei mezzi, programmare gli eventi, andare a trovare i fornitori per stipulare le nuove condizioni di acquisto e per stare un po’ di più con le famiglie. 

‘Romagna in Truck’ è composta da: 

– AL VOLO – Street Food, Borghi (FC);

– ASPASSO Buona Romagna, Longiano (FC);

– BIG BLUE Food Truck, Cesena (FC);

– SOUL KITCHEN DI MAMAELI, Cervia (RA); 

– MANICARRETTO_ Street Food  Rimini;

– VINO AL VINO STREET, Ravenna.

Questo il loro grido d’allarme. 

Quest’anno il mese di marzo non ha visto la nostra consueta ripresa lavorativa, ma un arresto totale e drammatico a causa del Coronavirus. 

All’inizio di marzo tutti gli eventi già in programma fino a settembre sono stati annullati e, ad oggi, non c’è una sola data per eventi futuri. 

Per noi il “lockdown” ha avuto un inizio, ma la fine non è ancora stata minimamente presa in considerazione dalle istituzioni governative. 

Di noi non v’è traccia nei DPCM, nei decreti, nelle ordinanze. Siamo stati dimenticati da tutti.
In Italia la nostra categoria conta 35.000 partite iva, rappresentiamo altrettante famiglie che vivono di questo perché la maggior parte di noi vede coinvolti in questa attività le mogli, i mariti e i figli. Nel frattempo, oltre a sostentarci senza incassare un euro, dobbiamo anche pagare tasse, ratei, inps e bollette che continuano ad arrivare puntualmente e devono essere saldate.


Intanto ristoranti, bar, negozi, centri commerciali, fabbriche, musei, palestre, centri estetici e moltissime altre attività hanno riaperto, seppur con alcune limitazioni, mentre il nostro settore sta subendo una assurda ed ingiusta discriminazione che ci sta portando al collasso economico e psicologico. 

Ci rendiamo conto che gli eventi che accolgono migliaia di visitatori per il momento rappresentano ancora un rischio, ma piccoli eventi dove si possa lavorare adottando i protocolli di sicurezza sono assolutamente possibili. 

Chiediamo con urgenza deroghe sui regolamenti comunali delle aree mercatali, permessi temporanei per sostare in aree pubbliche e private senza limiti imposti e bandi nazionali, dove poter somministrare, con la nostra licenza ambulante, nel totale rispetto delle normative vigenti sulla sicurezza e sul distanziamento. 

Sono già cinque mesi che non lavoriamo e non ce la facciamo più, siamo al lastrico.
Chiediamo di essere ascoltati e aiutati prima che molti di noi siano costretti a chiudere l’attività con conseguenze drammatiche. 

Abbiamo bisogno di prospettive certe, immediate e sburocratizzate, non possiamo più continuare ad attendere!

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Davide Buratti

Davide Buratti, giornalista professionista, fondatore della Cooperativa Editoriale Giornali Associati che pubblica il Corriere Romagna, di cui dal 1994 e per 20 anni è stato responsabile della redazione di Cesena. Oggi in pensione scrive di politica, economia e attualità a 360 gradi nel suo blog per Romagna Post. Per contatti utilizzate il box commenti sotto gli articoli. 

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