Adesso la professione è minata nelle fondamenta
Trentuno anni fa il Corriere Romagna debuttava in edicola. Nel 1993 il 10 settembre era un venerdì. E il nuovo quotidiano uscì nelle edicole di Rimini e Ravenna. Tutto grazie ad una cooperativa di giornalisti e poligrafici ex dipendenti delle Gazzette di Longarini. Fu un mezzo miracolo editoriale. Passarono solo nove mesi dal fallimento della Edizioni locali all’esordio del nuovo giornale. Era diretto da Federico Fioravanti. La cooperativa era presieduta da Claudio Casali. Fondamentale fu il supporto della Lega delle Cooperative, in particolare di Flavio Casetti, Irma Galassi e del compianto Lucio Nardi. Sei mesi dopo partirono le edizioni di Forlì e Cesena e iniziò il tandem con La Stampa, altra novità editoriale. Adesso, a trentuno anni di distanza, il quotidiano non solo è ancora in edicola e continua ad essere editato dalla stessa società, la Cega, una cooperativa pura.
Nonostante siano passati “solo” cinque lustri l’impressione è che siamo di fronte ad un’era geologica diversa. In particolare per il lavoro giornalistico. E’ inutile negarlo: adesso lavorare nell’informazione è molto più difficile. Le cause sono multiple. Da una parte ci sono i problemi economici. Per le aziende editoriali chiudere i bilanci è sempre più difficile e da tanto, troppo tempo l’unica strada che gli editori percorrono è il taglio degli organici. A risentirne è la qualità del prodotto. Le carenze di organico inevitabilmente obbligano le redazioni ad essere sempre più dipendenti dai comunicati stampa.
Sembrano passati anno luce anche quando la cronaca nera e giudiziaria erano soprattutto on the road. La mattina passava fra puntate al Pronto soccorso, in questura e nei corridoi del tribunale sperando di avere notizie (possibilmente in esclusiva) da pubblici ministeri, giudici o avvocati. Adesso non è più così anche per le decisioni della politica che hanno reso sempre più difficile non solo pubblicare le notizie, ma anche trovarle. In un passato neppure troppo remoto c’era il “giro di nera”: chiamate alle varie forze dell’ordine per avere informazioni. Adesso è inutile perché la legge Cartabia ha incanalato tutto in procura che decide se e come dare le notizie, a partire da quelle che fino a poco tempo fa erano “pane quotidiano”. Adesso poi si sta andando veramente oltre: si prospetta il divieto di pubblicare le ordinanze di custodia cautelare fino alla chiusura delle indagini preliminari.
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