Ormai c'è un'inflazione della volgarità. Secondo Beppe Severgnini la causa va ricercata nel fatto che la i media ormai sono influenzati dai social media. Ma insultare è un'arte difficile, che pochi possiedono
“Le parole colpiscono, le parolacce stancano” è il titolo di un editoriale di Beppe Severgnini apparso sul Corriere della Sera.
Secondo il popolare editorialista la parolaccia è morta di noia. “Ne abbiamo scritte, lette, ascoltate e gridate così tante che hanno perso efficacia. Esiste anche l’inflazione della volgarità. Se ce n’è troppa in giro, vale poco”.
In effetti c’è un abuso di parolacce perché, anche come riconosce Severgnini, i media sono stati influenzati dai social media, dei quali cercano faticosamente di tenere il passo. “I social — aggiunge — sono oggi il pollaio della volgarità: parole, immagini, disegni”.
Sarà perché sono anziano, ma fatico ad abituarmi a una situazione simile. Non che io sia stato un’educanda. Cresciuto fra strada e campo sportivo dell’oratorio non risparmiavo e non mi risparmiavano niente. Ma l’insulto ce lo urlavano in faccia, in campo, nello spogliatoio. E poi tutto era finito lì e, soprattutto, restava tra di noi. Ci guardavamo bene da farci sentire dal prete o dai più grandi. Altrimenti erano guai. Ma certe parole non si sentivano neppure in tivù. Era una televisione in bianco nero. Forse più noiosa, ma infinitamente più educata. Oggi non è più così. Le schifezze partono da una tastiera e poi si trasferiscono in rete. E adesso sono finite in televisione. È la naturale conclusione di un clima da tribunale popolare che ha preso sempre più piede e nel quale in molti vestono sia i panni dell’accusato che del giudice. E, poco importa, se spesso, accuse e sentenze non sono supportate da elementi di prova schiaccianti. L’impressione è che la presunzione di innocenza sia andata a farsi benedire. Ormai siamo tornati alla guerra tra bande. Quindi c’è sempre meno tempo per il ragionamento, per il dialogo, per il confronto costruttivo. Invece c’è un abuso di offese e di parolacce.
E sottoscrivo quello che sostiene Servegnini. Ritiene che tutto, soprattutto la parolaccia sia figlia dell’impotenza. Impotenza verbale. Insultare è un’arte difficile, pochi la possiedono. Secondo l’editorialista oggi il desiderio di commentare tutto, unito alla povertà di idee e di lessico, porta inevitabilmente all’insulto basico (vaffa! merda! coglione!).
E suggerisce a quelle persone di guarire usando il vocabolario e la potenza della lingua italiana.
E chiama in causa le signorine. ”Se siete davvero furibonde con un fidanzato, non urlategli «Stronzoooo!». È ormai una parolina quotidiana, come «ciao» e «arrivederci». Guardatelo negli occhi e ditegli: «Sei un uomo deludente». Ci rimarrà malissimo”.
Parole sante. Proviamo a ripartire da quelle.
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