Cosa serve alla Romagna per ripartire

Nel 2020 la riduzione del Pil dell’Emilia Romagna sarà di poco superiore ai dieci punti. Nel 2021 ci sarà un consistente rimbalzo, ma solo nel 2022 torneremo ai livelli pre Covid. Intanto, però, avremo perso anni e indebolito il sistema economico. Nel Ravennate, ad esempio, si stima che le imprese in deficit di liquidità saranno il 35,9 per cento a fronte di una liquidità necessaria per coprire i costi di 534 milioni. L’occupazione regionale invece fa segnare la perdita di 54 mila posti di lavoro che solo nel 2024 potranno essere completamente riassorbiti.

Se si vuole parlare di economia e prospettive future si deve partire da questi dati. Occorre concentrarsi sullo stimolo alla domanda e agli investimenti pubblici e privati e rimettere in moto l’economia con una ricetta di medio e lungo periodo. Poi ognuno ha una propria idea per la ripartenza e il dibattito è aperto. Però è difficile pensare che ci possa essere un confronto sulla possibilità di portare in Emilia Romagna il sistema sanitario lombardo. Nonostante le crepe che ha mostrato durante l’emergenza, oltre alla Lega c’è chi non solo ci pensa, ma lo propone. Per fortuna chi governa la Regione ha un’idea diametralmente opposta, quindi sono esclusi cataclismi. Piuttosto sarebbe il caso di parlare di un nuovo modello di welfare che possa passare anche dal coinvolgimento dei privati. Non ci devono essere dogmi. Però a una condizione: le regole le scrive il pubblico. Un regolamento che non dovrebbe essere il libro dei sogni, ma che metta paletti (pochi, ma chiari) che non possano essere aggirati. 

Il rilancio non può che passare dalle infrastrutture. L’edilizia può essere il motore per la ripresa. Però è argomento che va maneggiato con cura. Il via libera ai cantieri deve anche corrispondere alla tutela della sicurezza sul lavoro e alla lotta alle infiltrazioni della malavita organizzata che, di sa, nell’edilizia ci sguazza. Insomma, va bene accelerare sull’apertura dei cantieri e sul taglio della burocrazia. Ma evitiamo di passare da un opposto all’altro. La nostra regione è già stata terra di conquista, bisogna evitare di peggiorare le cose. Quindi va evitato il rischio di buttare il bambino con l’acqua sporca.

In tema di lavoro va poi affrontato l’argomento dell’innovazione tecnologica. È un passaggio inevitabile, ma serve una discussione a 360 gradi. Il governo ipotizza un incentivo a chi investe in tecnologia digitale. Giusto. Però bisogna essere consapevoli che l’industria 4.0 può creare problemi all’occupazione. Quindi comincia ad essere maturo il momento per affrontare il tema della riduzione dell’orario di lavoro. Va da sé che si debba partire dal presupposto che non si debba intaccare la busta paga. 

Nello stesso tempo servirà una profonda riflessione sul sistema fieristico e su quello aeroportuale. Servirà chiarezza anche sull’ agricoltura che è una cosa diversa dall’ agroindustria.

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Davide Buratti

Davide Buratti, giornalista professionista, fondatore della Cooperativa Editoriale Giornali Associati che pubblica il Corriere Romagna, di cui dal 1994 e per 20 anni è stato responsabile della redazione di Cesena. Oggi in pensione scrive di politica, economia e attualità a 360 gradi nel suo blog per Romagna Post. Per contatti utilizzate il box commenti sotto gli articoli.