Torna la rubrica di Jacopo Rinaldini
Faxian è il nome che Jacopo Rinaldini ha dato alla Panda con la quale ha viaggiato in Albania. Ora è diventato molto di più: il suo taccuino di viaggio dal quale propone la prima pagina.
Un divertissement notturno, il quale conchiude in sparute pennellate la visione “Faxian”, ovverosia la capacità trasformativa di una realtà non sempre amena, anzi talvolta avara, priva di colore e disperante. Sulla tela sono impresse le mani di un bambino che toccano i nodi del tappeto su cui sta giocando. È atto di riflessione e di protesta. In fondo, “Faxian” cos’è? È la porta verso una dimensione altra in cui libertà e arabeschi di fantasia divengono schermo protettivo, guscio di noce attraverso cui sorridere delle logiche fosche di un mondo patinato e votato ad un consumismo silente e urlato al tempo stesso; è lo scherno, è arca della salvezza, è anticonformismo, è corsa verso qualcosa che manca e sfugge perennemente.
“Faxian” è la perpetua ricerca del sorriso tra le pieghe dell’intonaco scrostato dei grandi formicai che giganteggiano nelle periferie: in quei sorrisi c’è tutta la forza prorompente di una bellezza che, a saperla cogliere, entra nei corridoi dell’anima e non da lì esce più.
“Faxian” è “Stimmung”, ossia una forma alta di “sensibilità morale”, di forza interiore in grado di sorreggere nelle asperità della vita, è il riflesso al contrario nello spazio concavo di un cucchiaio; è, altresì, una presa di posizione, un atto politico, nei confronti del mondo dell’odio, dell’indifferenza, del consumismo, del lusso idiota, dello spreco di risorse, delle barriere, di ogni tipo di nazionalismo, di patriottismo e di sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
L’elemento principale della pittura grezza, bambinesca, povera che contraddistingue questo peculiare punto di vista e di re-interpretazione della realtà è il rifiuto totale delle bandiere.
Sono cittadino del mondo e del mondo scrivo ed è il mondo che ritraggo: è pittura di strada e la strada ha sempre condotto ad Est. Le storie che ho udito, doni di incommensurabile valore, e i volti che tuttora rivedo dinanzi ai miei occhi sono la spina dorsale delle mie notti insonni.
Indubbiamente, un urlo contro la retorica patriottarda e velenosa che si ode oggigiorno nei crocicchi e nelle piazze calpestate da anime vuote, è un cuore che pulsa ed è illuminato con i led coloratissimi di una qualsiasi insegna pubblicitaria di Dacca, di Mardan, di Peshawar, del simpatico signore che vende kebab nei pressi della stazione della mia città, Cesena.
E’ la chiave necessaria per abbattere i muri della tribolazione e dell’affanno, è licenza poetica che profuma di rifugio sicuro.
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