“La Romagna e il sangue d’America” a Ravenna

RAVENNA. Due romagnoli che misero in crisi il paese più potente del mondo, gli USA, saranno al centro della serata “La Romagna e il sangue d’America” sabato 11 dicembre alle 19 al circolo dei forestieri di Ravenna, (in via Corrado Ricci 22).

Protagonisti gli scrittori Matteo Cavezzali e Filippo Mazzotti che parleranno di Mario Buda, l’anarchico di Savignano, che fece saltare in aria Wall Street e di Charles Ponzi, il lughese che inventò la truffa più clamorosa del secolo. I due personaggi sono al centro dei due romanzi degli autori “Nero d’inferno” (Mondadori) di Cavezzali e “Lo schema Ponzi” (Piemme) scritto da Mazzotti assieme a Paolo Bernardelli. Gli autori dialogheranno con Paolo Cavassini.

In “Nero d’inferno” c’è un vecchio calzolaio che per tutta la vita ha nascosto un segreto terribile. Il suo nome è Mario Buda, altrimenti noto come Mike Boda. In America Boda’s Bomb è diventato sinonimo di autobomba, e per le imprese di Mike Boda è stata scritta la prima legge antiterrorismo del mondo, eppure nessuno si ricorda di lui. Chi è questo immigrato, questo arrabbiato che ha firmato una delle pagine meno eroiche ma più significative della lotta contro l’ingiustizia sociale? Mario Buda arriva a Ellis Island nel 1907, partendo dalla Romagna, dove è nato e cresciuto. Alla scuola dell’anarchico Luigi Galleani impara che bisogna dire basta allo sfruttamento, al capitalismo, al razzismo. Costi quel che costi. Di giorno lavora in fabbrica, la sera commercia illegalmente whiskey nella New York del proibizionismo. Quando il governo americano approva le prime leggi contro gli immigrati italiani ed europei, iniziando i rimpatri forzati, mentre Sacco e Vanzetti sono arrestati e condannati a morte per un crimine non commesso, Mike Boda orchestra l’attentato più terrificante che l’America avesse mai subìto: una bomba a Wall Street, con 38 morti e 143 feriti. Quindi scompare nel nulla. Alcuni lo vedono in Messico, altri al confino nell’Italia fascista, altri ancora a Parigi, intento a organizzare un agguato per uccidere il Duce. Dopo un’esistenza segnata da menzogne e misteri, torna a Savignano e riprende a fare il lavoro che faceva da ragazzo e che ha sempre fatto: il calzolaio. Come se niente fosse. Portando con sé tutti i suoi segreti. Matteo Cavezzali racconta Buda attraverso le voci di quelli che lo hanno conosciuto e che sembrano parlare, ogni volta, di una persona diversa. Sono gli amici devoti, i parenti traditi, i poliziotti che gli sono stati alle calcagna, i compagni di militanza, gli avversari, le donne che lo hanno amato. Da una storia vera nasce un romanzo che avvita il passato al presente, esce un piccolo uomo che rabbia, sogni e violenza trasformano in un controverso protagonista, un personaggio che esplode come una bomba e poi si perde nei labirinti della Storia.

“Lo schema Ponzi” invece inizia il 15 gennaio 1919 un serbatoio con otto milioni e settecentomila litri di melassa esplose e si riversò sulla città di Boston provocando ventuno morti e cinquecentodieci feriti. Quest’onda – vischiosa e nera – fu solo la prima a travolgere la città. La seconda, invece, fu invisibile, ma causò danni incalcolabili. Un’ondata di ricchezza e benessere improvvisi che in pochi mesi fece piovere milioni di dollari sugli abitanti di Boston, coinvolgendo tutti i quartieri, le razze e le classi sociali. Il merito, o la colpa, fu di un solo uomo: Carlo “Charles” Ponzi. Giunto in America dall’Italia all’inizio del Novecento, con mezza laurea in Giurisprudenza e il desiderio di un riscatto sociale che l’amata madrepatria non sarebbe mai riuscita a dargli indietro. La strada più veloce passava dai francobolli e dai Buoni Postali di Risposta Internazionale che gli permisero di pagare interessi stellari a tutti coloro che scommettevano su di lui affidandogli i loro soldi e i loro sogni. Sempre sorridente – anche nei momenti più bui – carismatico e visionario, in soli nove mesi rese ricca la quasi totalità degli abitanti di Boston. La sua epopea, tuttavia, s’incrociò con quella di Richard Grozier, il quale, succeduto al padre nel momento più difficile del “Boston Post”, intuì che c’era un’unica storia che gli avrebbe permesso di salvare il giornale di famiglia, e quella storia si chiamava: Charles Ponzi.

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