Quanto sono migliori le nostre imperfezioni rispetto ai regimi autoritari

Interessante riflessione di Sebastiano Castellucci scatenata dalla guerra in Ucraina

CESENA. Forse non ci rendiamo conto di quanto sia importante la democrazia. E’ uno degli aspetti che emerge dalla guerra in Ucraina. E’ anche il senso di un interessante intervento di Sebastiano Castellucci che prende spunto dal conflitto scatenato da Putin per fare delle riflessioni che non solo non sono per nulla banali, ma che dovrebbero anche essere un  monito a chi, anche in Italia, anche negli ultimi tempi, ha dato libero sfogo a parole e valutazioni che non sono per nulla giustificate.

Russia, Cina e moltissimi altri Paesi hanno governi che, non da oggi, impongono un regime autoritario alla loro popolazione. Oggi però è inequivocabile e travolgente la consapevolezza di quanto questi regimi siano ben lontani dal contenere, entro i confini nazionali, le conseguenze delle loro ingiustizie. Il conflitto novecentesco di queste settimane, fatto di soldati, bombe e carrarmati in Europa, ha in parte sconfessato chi vedeva nell’Asia il prossimo campo di contesa del secolo che stiamo vivendo. Il ritorno della storia nel nostro continente ci ha colto alla sprovvista, come sempre accade di fronte ad eventi facilissimi da prevedere in retrospettiva ma mai in prospettiva, almeno nella loro vera portata. 

Uno dei sintomi che più di tutti tradisce quanto sia illiberale un regime, ed accomuna le varie forme di governo autocratiche, è l’ostilità nutrita verso i giornalisti. Putin ha sistematicamente spento nel sangue le voci dissenzienti, come quella di Anna Politkovskaja nel 2006. Non è diversa l’Arabia Saudita, che nel 2018 ha letteralmente fatto a pezzi un giornalista, o tanti altri Stati che sono sempre più potenti economicamente e strategici per le politiche e i bisogni occidentali. 

La mancanza di libertà e, più banalmente, l’assenza di giornalisti liberi di avanzare critiche, ha contribuito anche a una iniziale disastrosa reazione al Covid-19 da parte del governo cinese. È interessante a questo proposito richiamare quello che diceva Amartya Sen rispetto alle carestie che colpivano l’India sotto la dominazione britannica. Una volta che quel Paese ha ottenuto l’indipendenza, nel 1947, l’apertura in senso democratico e pluralistico dell’ordinamento ha fatto sì che tali eventi con milioni di morti non si siano più verificati. Gli strumenti di assistenza pubblica erano sempre i medesimi, sempre presenti e disponibili anche durante la dominazione inglese. Quello che era cambiato non riguardava le condizioni materiali. Era l’insieme delle libertà civili e politiche che costringevano il governo a sentirsi minacciato se non avesse agito con tempestività nel prevenire la diffusione della fame. L’assenza in Cina di una stampa libera, di elezioni periodiche e di partiti di opposizione sta alla base di una reazione torbida ai primi casi del nuovo virus. Solo una volta che il virus ha raggiunto quei luoghi che riconoscono e tutelano la libertà di parola, si è potuto cominciare a dare una risposta basata su una conoscenza reale: i buoi però erano già scappati in giro per il mondo. 

La guerra e la pandemia hanno squarciato tutta quella retorica che abbiamo sentito infiltrarsi in questi anni nelle bocche di alcuni politici occidentali, che evocavano – anzi, agognavano – l’efficienza delle dittature, finalmente libere da quelle scocciature tipiche delle democrazie. Del resto sul piano economico ci siamo resi conto che il capitalismo non ha alcun bisogno della democrazia per prosperare, che può fare benissimo a meno del liberalismo da cui invece inizialmente aveva tratto la sua linfa politica. 

Si è diffuso l’enorme equivoco che le nostre costituzioni siano neutrali, che non siano portatrici di valori e che quindi, di fronte alle tragedie, non ci possiamo schierare ma dobbiamo rimanere equidistanti. Non è così. 

Certamente c’è molto veleno da togliere dai pozzi per tornare a capire quanto siano migliori le nostre imperfezioni ai sistemi di potere autoritari. Le nostre fragilità, i nostri rituali garantistici, le nostre libertà non ci rendono più deboli di fronte ai regimi, al contrario. Avevamo bisogno di tutto questo per tornare a rendercene conto?

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Davide Buratti

Davide Buratti, giornalista professionista, fondatore della Cooperativa Editoriale Giornali Associati che pubblica il Corriere Romagna, di cui dal 1994 e per 20 anni è stato responsabile della redazione di Cesena. Oggi in pensione scrive di politica, economia e attualità a 360 gradi nel suo blog per Romagna Post. Per contatti utilizzate il box commenti sotto gli articoli.