Dopo l'iscrizione nel registro degli indagati
Nel giorno dell’iscrizione di Giorgia Meloni nel registro degli indagati il titolo più indovinato è quello de “Il Fatto Quotidiano”: Meloni spaccia un atto dovuto per un complotto. In effetti quello al quale abbiamo assistito ieri è la classica tempesta in un bicchier d’acqua. Il tutto provocato dalla premier che sta cercando di capitalizzare in termini di consenso la vicenda giudiziaria. Perché, per il resto, siamo di fronte ad una banalità assoluta e che ha niente a che vedere con la presunta vendetta da parte delle toghe. Tutto parte da un esposto di un avvocato sul quale Giorgia Meloni ha preso un abbaglio (l’ennesimo). Lo descrive come una sorta di pericoloso comunista, mentre è cresciuto politicamente nel Msi, poi è passato ad An (partito della quale faceva parte anche la premier) per finire, quindi, con Di Pietro. Siccome in Italia vige l’obbligatorietà dell’azione penale il giudice (di Magistratura Indipendente, corrente di destra) ha fatto l’unica cosa che poeva fare: ha iscritto Giorgia Meloni e i ministri nel registro degli indagati, li ha informati di questo e poi ha girato gli atti al Tribunale dei Ministri. Per legge aveva quindici giorni per farlo.
Alla luce di questi fatti non si capisce quale possa essere l’atto ostile fatto dalla magistratura e quale sia la giustizia a orologeria della quale parla qualcuno/a. Come finirà la vicenda? Difficile fare delle previsioni. Il Tribunale dei Ministri, presumibilmente, deciderà entro tre mesi.
Il problema però è soprattutto politico. Tutta ruota attorno al rilascio di Almasri, generale libico accusato di essere un torturatore e anche qualcosa di peggio, arrestato a Torino il 19 gennaio perché su di lui pendeva un mandato dell’Interpol su richiesta della Corte di Giustizia dell’Aia. Secondo le ricostruzioni giornalistiche (a partire da quelle del Corriere della Sera) i giudici italiani poi lo hanno rilasciato perché il ministro della Giustizia, pur sollecitato dai giudici, non ha firmato l’atto necessario. Ed è difficile immaginare che la presidente del Consiglio non ne sapesse niente.
E, sempre secondo le ricostruzioni giornalistiche, pare che tutto sia da attribuire ad uno scambio: l’Italia non persegue il generale e la Libia evita che dalle loro coste partano in direzione Italia i barconi con gli immigrati a bordo. Legittimo? Ognuno vede le cose a modo suo. Se fosse così lo ritengo sbagliato. Ma ne parleremo. Però è pur sempre una posizione soggettiva. Se fosse così Almasri e il suo “entourage” potevano essere rimpatriati su un volo di linea e non su in volo di Stato. Anche alla “riconoscenza” c’è un limite.
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