Renzi rischia di sbiellare

Non è ancora da riserva indiana, ma per la classe media i tormenti non sono in diminuzione. Anzi, i segnali non sono positivi. È forse questo l’errore principale del governo Renzi. Matteo da Firenze (il maleducato di talento, secondo Ferruccio De Bortoli, direttore del Corriere della Sera) deve muoversi in questa direzione se vuole che l’Italia esca dalle secche in cui si trova.
Del resto non è un caso se la campagna presidenziale di Hillary Clinton sarà focalizzata su una maggiore sicurezza economica per la classe media e sull’aumento delle opportunità per le famiglie.
Del resto non è un segreto che i momenti migliori l’economia italiana li ha vissuti nel momento in cui c’era una ricchezza diffusa e, quindi, la classe media attraversava il su momento migliore ed aveva, perciò, una grande capacità di spesa. Era il momento in cui ristoranti e pizzerie era sempre pieni, non solo il sabato e la domenica. In quei momenti il mercato dell’auto e quello immobiliare non solo non avevano problemi, ma erano in continua espansione. Lo stesso dicasi per le attività commerciali.
Poi la grande crisi. Che si è abbattuta soprattutto sulla classe media. Uno dei segnali peggiori arrivati dalla depressione è che è infinitamente aumentata la forbice tra ricchi e poveri. I ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. E in mezzo non c’è sempre meno gente.
Al netto di leggi elettorali o riforme costituzionali, è da qui che un governo dovrebbe ripartire. E in questo Renzi e soci non è che abbiano brillato in modo particolare. È vero che hanno ereditato una situazione pesantissima. Ma in oltre un anno di governo l’attesa inversione di tendenza non si è vista. È anche vero che non è facile.
Per uscire dalle secche bisogna risolvere il problema della disoccupazione. Non serve però un colpo di bacchetta magica, ma una forte inversione di tendenza al mondo economico e produttivo. Ormai dovrebbe essere assodato che da questa situazione non si esce con politiche di austerità. Forse è il caso di ripartire da una visione keynesiana dell’economia. È una scuola di pensiero economica basata sulle teorie di Jhoan Maynard Keynes. Ha spostato l’attenzione dell’economia dalla produzione di beni alla domanda, osservando come in talune circostanze la domanda aggregata è insufficiente a garantire la piena occupazione. Di qui la necessità di un intervento pubblico statale a sostegno della domanda, nella consapevolezza che altrimenti il prezzo da pagare è un’eccessiva disoccupazione e che nei periodi di crisi, quando la domanda diminuisce, è assai probabile che le reazioni degli operatori economici al calo della domanda producano le condizioni per ulteriori diminuzioni della domanda aggregata. Da qui la necessità di un intervento da parte dello Stato per incrementare la domanda globale anche in condizioni di deficit pubblico (deficit spending), che a sua volta determina un aumento dei consumi, degli investimenti e dell’occupazione.
Si tratta però di qualcosa da maneggiare con cura, soprattutto per un paese come l’Italia dove il debito pubblico è la vera zavorra. Quindi bisognerebbe supportare l’intervento pubblico con adeguati tagli di bilancio.
Va da se che una politica del genere non può essere protratta non solo vita natural durante, ma neppure per moltissimi anni. L’intervento dovrebbe servire per aumentare l’occupazione e aiutare le piccole e medie imprese (da sempre asse portante del sistema Italia) a riprendere vigore.
Quindi, in maniera direttamente proporzionale, si dovrebbero fare quelle riforme che, con la necessaria gradualità, vanno nella direzione dell’economia di mercato terminando con un liberismo comunque annacquato e non selvaggio come, invece, vorrebbero certi industriali. Del resto ritengo impensabile che in Italia l’intervento dello Stato nell’economia si limiti al massimo, come sostengono i liberisti, alla costruzione di adeguate infrastrutture (strade, ferrovie, ponti, autostrade, tunnel, in certi casi perfino edifici etc.) che possano favorire il mercato. Poi si potrà discutere sempre e comunque su dove e come orientare determinati aiuti.
Tornando alla situazione attuale, l’impressione è che invece si voglia tutto e subito con il rischio che non ci siano gli anticorpi per far fronte ad un sifatto cambiamento facendo, quindi, più male che bene. Del resto, è risaputo, in certi momenti correre alla massima velocità si rischia di fare fuori giri e sbiellare.

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Davide Buratti

Davide Buratti, giornalista professionista, fondatore della Cooperativa Editoriale Giornali Associati che pubblica il Corriere Romagna, di cui dal 1994 e per 20 anni è stato responsabile della redazione di Cesena. Oggi in pensione scrive di politica, economia e attualità a 360 gradi nel suo blog per Romagna Post. Per contatti utilizzate il box commenti sotto gli articoli.