Il riordino delle province nato dalla “spending review” del Governo Monti ha portato il territorio romagnolo a mostrare i difetti di sempre, quelli che tralasciando le possibili ricadute e le opportunità che una provincia unica potrebbe rappresentare, si concentrano invece sul chi deve ottenere cosa.È diventato un dibattito mediatico, in cui Ravenna mostra le sue potenzialità culturali per essere il capoluogo designato, Rimini rilancia con le sue virtù turistiche, pronta a mettere a valore anche i difetti pur di vedersi garantire la centralità (vedi il vantare un maggiore indice di eventi delittuosi per candidarsi a sede di un’eventuale Prefettura unica), Cesena la sanità e Forlì l’università. Un dibattito che, per come si è costruito e per la poca chiarezza che lo ha contraddistinto, non appassiona né i cittadini né tanto meno le imprese, impegnate, quotidianamente, a garantire la tenuta dei loro occupati che, guarda caso, sono proprio i cittadini della prossima “provincia unica Romagna”.
Fare la conta dei nati e degli abitanti o misurare esattamente perimetri e confini per far valere la proprie individuali egemonie è un esercizio sterile che non evidenzia le opportunità o i limiti che il pensarci come Romagna (argomento, peraltro, non certo nuovo) potrebbe invece significare in termini di miglioramento competitivo, di rilancio dell’economia, di efficientamento di un’amministrazione spesso vetusta e di coesione ed equità sociale.
Da sempre Una Sola Voce per l’Economia sostiene questa posizione. Ossia, razionalizzare i livelli istituzionali in un unico coordinamento di sistema capace di garantire in rete i servizi che devono essere vicini ai cittadini, pronto a semplificare i passaggi e la burocrazia e in grado d’innovarsi stando al passo con ciò che da sempre si chiede alle imprese per non finire, al contrario, con l’esserne il freno.
Il nostro timore è che questa azione sulle tre province alla fine si traduca in una mera sommatoria delle gestioni e in una moltiplicazione dei costi. A dimostrazione di come il taglio solo ragionieristico della spesa, e non l’esercizio sull’efficientamento delle risorse e sulla chiara definizione prospettica dei risultati finisca con l’avere il fiato corto.
Se il senso di tutta questa operazione è ridurre gli sprechi e creare azioni di sistema che senso ha, ad esempio, che le competenze sull’agroalimentare, di cui questa provincia è leader, vengano ricondotte al livello regionale o ai singoli Comuni che dovrebbero, in tal caso, far fronte a nuovi costi con il risultato, tra l’altro, di un potenziamento della parcellizzazione dei compiti? Stessa cosa vale per la protezione civile, la formazione professionale, il lavoro e i centri per l’impiego.
Dov’è la coerenza? Siamo proprio sicuri che sottrarre servizi alla futura provincia unica ci porti a ridurre i costi per la Comunità? Qualcuno può dimostrarcelo?
Lo diciamo subito, affinché sia chiaro: uno scontro fra territori per ottenere una poltrona in più o in meno non ci interessa. Quello che pretendiamo è una analisi di dettaglio degli elementi di efficienza e di valore delle tre province funzionale alle esigenze dei cittadini e delle imprese.
Quello che ci interessa è una Romagna capace di unire concretamente le proprie potenzialità e le proprie forze nella volontà di dimostrare che la realtà migliore in cui vivere è quella che sa mettere a sistema le sue caratteristiche facendole diventare un’occasione di crescita. Una Romagna capace di far valere il suo carattere fatto d’impresa di qualità, di culla culturale, di meta turistica riconosciuta, di sanità d’eccellenza, di welfare praticato, di wellness e di sana alimentazione noti al mondo, di formazione e università.
Una Romagna che non può nascere da vincitori e vinti.
Solo così potremo ambire ad avere l’autorevolezza per essere incisivi su tutte quelle partite fondamentali per lo sviluppo, come ad esempio la logistica e i trasporti, che potrebbero davvero trasformarci in un riferimento per il Paese e in un’esperienza unica. Riteniamo che il percorso su cui politica e Istituzioni debbano impegnarsi sia questo.
Se così è, noi ci siamo.
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