No a liberalizzazioni selvagge sui porti. Sarà sciopero generale nonostante lo stop al progetto di riforma nel consiglio dei ministri del 20 febbraio scorso. Non convince affatto la proposta dei ministri Lupi e Guidi, per questo i sindacati di categoria nazionali Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti hanno proclamato uno sciopero nazionale per il 6 marzo per tutti i porti italiani. «Purtroppo il confronto in corso col ministro Lupi per la revisione della legge 84/94 (riforma della portualità) – commenta Danilo Morini, segretario provinciale della Filt Cgil – non sta producendo risultati positivi. A ciò si aggiunge l’incertezza determinata anche da incursioni di altri ministeri che, qualora si affermassero, risulterebbero pericolosissime per l’occupazione, la sicurezza, la professionalità di tutti i lavoratori e le lavoratrici portuali (Compagnia portuali, dipendenti dei terminal, autorità portuali, servizi tecnico nautici…)». Sul piede di guerra non ci sono solo i sindacati, ma anche le associazioni nazionali rappresentative delle imprese, dei servizi e del lavoro nei porti italiani Ancip, Angopi, Assiterminal, Assologistica, Assorimorchiatori, Federimorchiatori, che hanno espresso unanime dissenso sul contenuto del disegno di legge in materia di concorrenza, elaborato dal ministero delle Sviluppo economico. La riforma, secondo le associazioni, «è in totale distonia con il lavoro di questi anni, sviluppatosi sia in sede istituzionale che all’interno del cluster marittimo-portuale. Pertanto si chiede al Governo di soprassedere sull’iniziativa di introdurre all’interno di detto Ddl norme in materia portuale».
Ma cosa contiene il disegno di riforma? «Non si può stravolgere con un colpo di spugna uno dei pochi settori che, ancora, non è stato devastato dalla crisi economica di questi anni – sottolinea l’onorevole ravennate Alberto Pagani – perché di devastazione bisogna parlare, quando con un articolo (Durata delle concessioni) si tira una riga sulla regolamentazione delle imprese portuali e sulle regole di accesso all’attività di imbarco e sbarco. Poi abrogare l’art. 17 significa cancellare il lavoro e gli investimenti milionari di quasi 5.000 lavoratori nei porti italiani. Si tratta di uomini e di aziende che hanno a suo tempo siglato un accordo con lo Stato italiano volto a superare l’organizzazione delle vecchie Compagnie Portuali, ma comunque utile a consentire di lavorare in sicurezza e in estrema efficienza in tutti i porti italiani per oltre trent’anni».
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