Tv locali verso il tracollo?

In Italia il dominio televisivo di Rai e Mediaset non è soltanto il frutto della potenza e della qualità del lavoro informativo dei due colossi, aspetto per altro opinabile viste alcune specifiche trasmissioni d’intrattenimento, ma anche la calcolata conseguenza di un regime di aiuti, spinte, preferenze che i grandi imprenditori pubblici e privati televisivi hanno nei confronti delle piccole emittenti televisive e radiofoniche. Leggete questa. Ieri a Roma, uno dei sindacati che raggruppano a livello nazionale gli operatori radiotelevisivi locali (Rea) si è incontrato con l’Autorità delle Garanzie nelle Comunicazioni ma l’incontro si è concluso con un nulla di fatto per la soluzione dei problemi sollevati dalle emittenti locali operanti sulla dorsale adriatica, Sicilia, Piemonte, Lombardia, Toscana, Friuli Venezia Giulia, Liguria e Veneto che chiedono frequenze valide in sostituzione dei 19 canali che dovranno lasciare per i conflitti interferenziali con i Paesi confinanti (Francia, Svizzera, Austria, Slovenia, Croazia, Albania, San Marino, Città del Vaticano) mentre era stato assegnato dallo Stato un diritto d’uso ventennale. L’Agcom si fa forte del dispositivo di legge n.9 del 21 febbraio 2014, articolo 6, comma 8, il quale l’autorizza ad avviare le procedure per escludere dalla pianificazione televisiva quelle frequenze riconosciute a livello internazionale ai Paesi confinanti oggetto di situazioni interferenziali. La liberazione doveva avvenire entro il 31 dicembre 2014, poi è stata spostata al 30 aprile 2015 dalla legge di stabilità. Le emittenti toccate dal provvedimento sono circa cento con una perdita secca futura di 2800 posti di lavoro considerando l’indotto che ne deriva. Gli Organi Ministeriali di garanzia e l’AGCOM avevano pianificato, nel 2006, in violazione delle direttive europee assegnando alle locali, nei siti più sensibili alle interferenze con l’estero, frequenze non riconosciute dall’Europa. Inoltre, sull’Agcom e Ministero dello Sviluppo Economico pesano gravissime responsabilità per aver assegnato una gran quantità frequenze coordinate valide e non interferite) alle Reti nazionali discriminando così le locali nella qualità e nella quantità minima prevista dalla legge che prevedeva un terzo di quelle pianificabili. L’8 aprile ci sarà una sentenza al Tar del Lazio proprio proposta da Antonio Diomede, coordinatore nazionale dell’associazione sindacale Rea. L’unica cosa certa è che al rischio di chiusura per 122 testate quotidiane e periodiche e la perdita di quasi 3mila posti di lavoro includendo l’indotto, si aggiungono quelli delle emittenti locali televisive discriminate. Nel caso della carta stampata i limiti del Governo Renzi e il depauperamento del Fondo per l’editoria sono i principali responsabili, in quello delle emittenti televisive le vane promesse di tutela dell’allora Governo Berlusconi (vice ministro al ramo di competenze era Paolo Romani) si sono infrante di fronte alle violazioni che l’Agcom ha contestato ai piccoli editori. Dimenticando forse che l’occupazione di frequenze soggette a interferenze sulle attività di comunicazione degli stati esteri confinanti era la conseguenza dell’occupazione straripante di Rai e Mediaset…anche dei canali che l’assegnazione avrebbe dovuto garantire alle realtà più piccoli. Gli interessi dominanti ieri con Berlusconi e oggi con Renzi, purtroppo, sembrano rivestire il dritto e il rovescio della stessa medaglia. E’ triste ma è la realtà di questo Paese.
Solo che come diceva il comico catanese Angelo Musco nelle sue commedie: «Sì, questo è Paese…ma è troppo paese». La battaglia per i diritti dei giornali di cooperative e non profit e delle piccole emittenti radiofoniche e televisive si unificherà. E’ la forza delle cose, e dei soprusi, a determinarlo.

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