LA RICORRENZA DI GENNAIO di Marco Viroli e Gabriele Zelli
Il 26 gennaio 1900 nasceva a Forlì Tina Gori, figura di rilievo dell’antifascismo e della Resistenza romagnola
(tratto da “Personaggi di Forlì – II. Uomini e donne tra Otto e Novecento” di Marco Viroli e Gabriele Zelli, Il Ponte Vecchio, Cesena 2015)
«Ovunque è morto un partigiano per riscattare la libertà e la dignità lì è nata la democrazia, lì è nata la Costituzione italiana». Con queste poche ed efficaci parole Piero Calamandrei, componente dell’Assemblea Costituente, ha voluto rappresentare un momento cruciale della storia del nostro Paese. A oltre settant’anni dagli avvenimenti che caratterizzarono questo complesso periodo, non è raro riscontrare, anche tra i più giovani, grande interesse per i protagonisti di quei giorni. Tra loro a Forlì va ricordata Tina Gori, una donna dalla biografia appassionante.
Tina Gori nacque il 26 gennaio 1900 da padre anarchico convinto che non volle che la neonata fosse battezzata. Ricevette il sacramento solo all’età di 26 anni, presso il monastero delle Suore Clarisse, dopo che Tina, superata l’opposizione paterna, aveva abbracciato la fede cristiana.
La passione politica cominciò presto a scorrere nelle vene di Tina. Allo scoppio della Prima guerra mondiale, a soli 15 anni, fu tra i sostenitori dell’intervento militare italiano, partecipando anche ad alcune manifestazioni pubbliche.
Diplomata alle magistrali di Forlimpopoli, fu impiegata negli uffici della Società Orsi Mangelli e della Cassa dei Risparmi di Forlì. Gli anni della maturità lavorativa e familiare furono anche quelli della scelta di campo a favore dell’antifascismo. Ciò fu favorito dalla frequentazione di persone che, nonostante l’instaurazione del regime, avevano mantenuto saldi ideali repubblicani, come il compagno di scuola Icilio Missiroli (poi sindaco di Forlì negli anni ’50 e ’60) e l’amico Mario Sancisi, santarcangiolese.
Neppure il matrimonio con Cesare Ceccarelli, fascista convinto, influì sul suo atteggiamento deciso contro la dittatura. Dall’unione tra i due, che durò appena cinque anni, nacquero due figli: Giovanni e Adele. In questo periodo – come viene ricordato in modo sintetico nel volume “Us fa de”, edito dalla Cassa Rurale e Artigiana (oggi Banca di Forlì) – entrò a far parte della cerchia delle amicizie politiche di Tina Gori l’antifascista Tonino Spazzoli, di fede repubblicana, tornato a Forlì dall’Africa nel 1940. Spazzoli frequentava, preparandosi idealmente agli impegni futuri della Resistenza, il «dissidente fascista Leandro Arpinati, l’azionista Bruno Angeletti e il socialista Torquato Nanni che fece conoscere a Tina. Dopo l’8 settembre 1943 scoccò l’ora dell’azione. Quando Tonino Spazzoli entrò nel gruppo operativo di Radio Zella, organizzando, fra l’altro, la fuga degli ufficiali alleati evasi dalla prigionia, Tina mise a disposizione la sua casa di via Giorgio Regnoli, nella quale ospitò anche il tenente americano Jack Reiter, ricoverato all’ospedale di Forlì per una frattura al bacino e poi messo in salvo. Il 7 agosto 1944 Tonino venne arrestato. Tina allora fece di tutto per liberarlo: si recò persino da Arpinati a Malacappa (Bologna) perché intercedesse presso Mussolini! Furono giorni febbrili. Tina non trascurò nulla: si adoperò per tentare con Silvio Corbari un’azione di forza al carcere forlivese, prese contatti con i reclusi comuni per cercare punti d’appoggio, ma nulla poté contro il compiersi del dramma che si sarebbe consumato nella serata del 18 agosto 1944».
La Gori continuò instancabile ad adoperarsi anche negli anni difficili del dopoguerra e quando, a soli 47 anni, morì ricevette l’omaggio di tutta la città.
Icilio Missiroli su «Il Pensiero Romagnolo», dell’11 gennaio 1947 la volle ricordare così: «Pochi esseri abbiamo conosciuto più nobili di Lei. Una mente virile, volta a tutti i problemi più alti che possano interessare l’animo, signoreggiava le passioni proprie degli uomini e la spingeva ad agire virilmente in conformità delle sue idee; nello stesso tempo una soavità tutta femminea, una delicatezza di tratti che la facevano piegare alle sventure altrui a indulgere con fraterna comprensione alle debolezze che non perdonava a se stessa, la rendevano cara a tutti coloro che la avvicinavano e ai quali prodigava il tesoro inesauribile della propria amicizia».
CON IL NASO ALL’INSÙ di Marco Viroli e Gabriele Zelli
Al centro della facciata del Palazzo Comunale, sotto il primo ordine di finestre, è posta una lapide a ricordo del sacrificio dei quattro partigiani barbaramente uccisi nell’agosto del 1944 e appesi da morti ai lampioni della piazza:
FRA TIRANNIA E LIBERTÀ / FRA DITTATURA E POPOLO / STANNO PIETRA DI CONFINE / LE FORCHE DI / SILVIO CORBARI / IRIS VERSARI / ADRIANO CASADEI / ARTURO SPAZZOLI / XVIII AGOSTO MCMXLIV
La storia di Tina Gori si intreccia con quella dei fratelli Spazzoli e dell’azione resistenziale del Battaglione Corbari. Questa lapide bene esprime i concetti di libertà nei quali Tina Gori ha creduto e lottato.
A proposito della suddetta lapide, Gabriele Zelli racconta:
«Nel 1988, dopo alcuni giorni di abbondanti piogge che avevano prodotto qualche danno alle coperture del Palazzo Comunale, mi accorsi che la lapide posta sulla facciata aveva assunto una conformazione strana. Non era più addossata alla parete, ma si era incurvata pericolosamente verso l’esterno. Diedi incarico ad Afro Fiumana, solerte e capace assistente tecnico del Settore Edilizia Pubblica del Comune, di verificare la stabilità del manufatto che minacciava di cadere sulla piazza sottostante. Dal controllo venne evidenziata la necessità di immediata rimozione della lapide, che fu portata presso il laboratorio di un marmista per realizzarne una identica. Nel giro di un paio di giorni la vecchia iscrizione si polverizzò: il marmo utilizzato, di qualità scadente, una volta asciutto si sbriciolò. Naturalmente la rimozione della lapide non passò inosservata. Diversi cittadini, in particolare ex partigiani, non sapendo che se ne stava predisponendo una nuova, si attivarono per venirmene a parlare. Poi un giorno, mentre passavo sotto il loggiato proprio all’altezza del bar allora Flamigni, oggi Ceccarelli, esattamente sotto il punto dov’è collocata l’epigrafe, fui fermato da Cimbro Ricci, personaggio molto conosciuto a Forlì perché svolgeva l’attività di commercializzazione acqua minerale e di bibite con un vecchio e rumoroso furgone Moto Guzzi a tre ruote. Durante il Secondo conflitto mondiale Ricci aveva aderito alla Resistenza. Aveva un fisico massiccio, era alto e forte, due mani possenti e di grandi dimensioni. Con la mano destra mi afferrò all’altezza dell’avambraccio sinistro, strinse forte e in dialetto romagnolo mi chiese perché avevo fatto rimuovere la lapide che ricordava il sacrificio dei partigiani Corbari, Versari, Casadei e Spazzoli. Aggiunse che lui, vecchio repubblicano, e molti altri chiedevano che fosse immediatamente ricollocata. Spiegai allora la situazione all’interessato e al gruppo di persone che si era formato intorno a noi, tutte solidali con Cimbro Ricci, e per nulla con me che avevo il braccio stretto come in una morsa. Cercai di rassicurare che la lapide sarebbe stata ripristinata in pochi giorni e che comunque la garanzia era che se ne stava occupando Afro Fiumana, anch’egli personaggio attivo nel movimento antifascista. A quel punto Ricci mollò la presa (i segni della sua mano rimasero sul mio braccio per qualche giorno) e sempre in dialetto sentenziò: “E’ sarà mei par tòt!” (Sarà un bene per tutti). In realtà fu chiaro che nell’immediato il bene fu soprattutto per l’incolumità del sottoscritto».
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