Piccolo è bello, ma bisogna crederci

Le aziende piccole garantiscono quell'inventiva fondamentale per l'identità del territorio. Ma dal sistema paese non arrivano segnali tranquillizzanti

Hanno problemi a getto continuo. Ma non quello di dover studiare delle strategie per competere con la manifattura 4.0. Sono le piccole e piccolissime imprese. La loro forza è la manualità, l’ingegno. Per questo ai robot proprio non ci pensano. Devono invece preoccuparsi del disinteresse ormai generalizzato che c’è in un sistema paese che guarda solo alla grande industria e dimostra di non credere alla piccola. Ma anche i piccoli imprenditori devono imparare a fare squadra. Lavorare a testa bassa va bene, ma ogni tanto servirebbe fermarsi anche per ritrovarsi e studiare strategie comuni.

 

È, in estrema sintesi, quello che è emerso lunedì sera nel corso del convegno “È il mercato bellezza” organizzato nell’ambito del Confartigianato day che quest’anno era dedicato alle micro, piccole e medie imprese. Quelle che, magari, non internazionalizzano, ma che continuano a stare sul mercato garantendo la tutela del nostro tessuto economico e sociale. Anche in questo mondo c’è stato un profondo cambiamento. Nei servizi alle persone, alle cose e alla produzione, nelle costruzioni e nelle piccole produzioni a Km zero l’evoluzione dei mercati e dei bisogni dei clienti hanno accelerato fenomeni di cambiamento che cominciano a produrre nuovi effetti sui mercati.

Questa è la bellezza di un sistema imprenditoriale che ogni volta che viene dato per vecchio, spacciato e superato riesce a innovarsi per essere pronto al giudizio più importante per ogni imprenditore: quello del mercato.

 

E ci riescono anche grazie e soprattutto alla manualità, a quell’ingegno che permette quell’unica soluzione che è necessaria per stare su un mercato sempre più difficile. Ma è grazie a queste caratteristiche che riescono a garantire quella che la più grande peculiarità dell’Italia: la mancanza di appiattimento.

Siamo un paese di santi, poeti e navigatori. Ma anche un paese godereccio e che non si arrende all’appiattimento del gusto. In senso lato. Non solo per quanto riguarda l’enogastronomia. E quel qualcosa in più che caratterizza i nostri prodotti è garantito dall’ingegno che è la caratteristica principale delle piccole botteghe artigiane.

 

Dall’estero vengono in Italia per studiare questo fenomeno. Non vengono per studiare le grandi imprese, a partire dalla Fiat. Il primo a crederci però deve essere il sistema paese. Servono politiche mirate. Bisogna intervenire sulla burocrazia. Servono modelli organizzativi, dinamiche di cambiamento e supporto agli investimenti.
Bisogna poi formare i ragazzi. Le piccole aziende artigiane faticano a trovare personale. Attenzione, rischiamo di perdere la nostra ricchezza. Per questo è fondamentale la formazione che, naturalmente, deve partire dalla scuola. Bene, anzi benissimo, il rapporto con l’università. Ma si deve cominciare ancora prima. Dalle superiori. È questo il principale investimento che si deve fare per lo sviluppo e per dare futuro a un paese che non si arrenderà mai all’appiattimento.

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Davide Buratti

Davide Buratti, giornalista professionista, fondatore della Cooperativa Editoriale Giornali Associati che pubblica il Corriere Romagna, di cui dal 1994 e per 20 anni è stato responsabile della redazione di Cesena. Oggi in pensione scrive di politica, economia e attualità a 360 gradi nel suo blog per Romagna Post. Per contatti utilizzate il box commenti sotto gli articoli. 

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