È attaccato da fronti. Mieli è pessimista. L'istituto Cattaneo impietoso. Per risollevarsi i democratici devono tornare sporcarsi le mani
Che futuro per il Pd? Paolo Mieli, opinionista del Corriere della Sera, lo vede nero. Nel suo editoriale di giovedì, riferendosi si democratici, ha scritto: la nostra è solo un’impressione, ma riteniamo che quella prodottasi a ridosso delle elezioni del 4 marzo non sia stata soltanto una sbandata di donne e uomini in preda alla disperazione, bensì una disposizione d’animo che si ripresenterà quanto prima.
Insomma, è pessimista. Non so se Mieli abbia ragione o meno. Difficile dare una risposta. Di sicuro le prospettive non sono buone. Soprattutto perché Pd viene prosciugato sia dai 5Stelle che dalla Lega.
Però l’erosione di voti potrebbe essere finita. Io non amo il condizionale, ma in questo caso ce lo metto grande come un condominio. Lo faccio citando un sondaggio (vanno presi con le molle), il primo post elettorale. Dà i 5Stelle e la Lega in aumento e il Pd in lievissimo calo. Però affaritaliani.it scrive che Piepoli, sondaggista che ci prende abbastanza, ha detto che i 5Stelle hanno raggiunto il loro bacino massimo e la Lega è vicinissima a fare il pieno.
Quindi il Pd può sperare di non perdere ulteriori consensi. Per riuscirci però deve cambiare radicalmente il proprio comportamento. Significativa è giusta è stata l’analisi fatta dall’assemblea territoriale di Cesena: siamo stati un partito autoreferenziale, dobbiamo tornare tra la gente.
L’ultima tornata elettorale ha dimostrato che il Pd regge ancora nei grandi centri urbani, prende i voti dei ceti più benestanti e dei pensionati, ma appena si esce dai centri storici e ci si inoltra nelle periferie, nei piccoli comuni e nelle “marginalità” sociali ed economiche, Lega e Cinquestelle fanno il pieno. “La chiave interpretativa del voto sta in questa frattura tra centro e periferia”, certifica l’istituto Cattaneo. E non è più solo un voto di protesta, è un voto di cambiamento radicale. Le tematiche dell’immigrazione e della sicurezza, da un lato, e quelle della precarietà e marginalità economica, dall’altra, hanno fatto breccia nel tradizionale elettorato di sinistra, che ha voluto punire il “negazionismo” del Pd, la sua narrazione di un Paese in ripresa, dove l’immigrazione viene governata e si sta meglio di prima. “La ripresa in Emilia-Romagna è stata asimmetrica e una parte della società non l’ha sentita”, dice ancora il Cattaneo, “e a questo si è accompagnata la critica alla classe politica del centrosinistra, la punizione per l’establishment”. E questo vale anche per quelli che, per dirla con Bersani, si erano rifugiati nel bosco: “Gli astensionisti hanno votato Movimento 5 stelle”.
Inoltre ho l’impressione che gli elettori abbiamo voluto punire un atteggiamento che hanno percepito come un certo moralismo di facciata e molta teoria e pratica del radical -chicchismo militante della più stucchevole maniera. Insomma, il Pd ha perso buona parte del suo dna. Lo dimostra anche e soprattutto il risultato in Emilia Romagna. Però non è venuto per caso. Nel recente passato segnali erano arrivati. Magari non forti e chiari. Ma si erano percepiti. E sono stati sottovalutati.
Adesso non so se sia possibile un’inversione di tendenza. C’è da dire che la storia degli ultimi anni racconta di cambiamenti repentini fa parte degli elettori. Guardate, ad esempio, la Pennsylvania. Ormai non ci sono più rendite di posizione. La fiducia viene data e tolta con una facilità estrema.
Però il Pd a una eventuale risalita potrebbe pensare solo tornado a sporcarsi le mani e abbandonando comportamenti radical chic. Del resto l’esperienza insegna che le elezioni non si vincono in centro, ma nelle periferie. E in periferia chiedono fatti, non p…
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