Amo chi ragiona in termini di storie, di notiziabilità e di angoli di lettura, piuttosto che di vetrina di prodotti e promozione del brand. Oggi c’è chi lo chiama storytelling, ma non è nulla di nuovo. E’ l’approccio che utilizzava ad esempio un grandissimo dell’advertising come David Ogilvy, quando scriveva che l’annuncio per essere persuasivo doveva contenere più informazioni possibile.
«Quando affrontiamo una newsletter o un blog aziendale, il nostro approccio è sempre di mettere il lettore al primo posto, ragionando come se l’azienda fosse editrice di un magazine che la riguarda». A parlare è uno dei giornalisti di Treseiuno, il network delle cooperative della comunicazione di Legacoop Romagna. Allo stesso modo ognuno di noi giudica i blog e le newsletter che legge, credo.
Amo chi ragiona in termini di storie, di notiziabilità e di angoli di lettura, piuttosto che di vetrina di prodotti e promozione del brand. Oggi c’è chi lo chiama storytelling, ma non è nulla di nuovo. E’ l’approccio che utilizzava ad esempio un grandissimo dell’advertising come David Ogilvy, quando scriveva che l’annuncio per essere persuasivo doveva contenere più informazioni possibile.
Non è difficile. Basterebbe porsi delle domande.
Cosa può interessare davvero chi legge? Ci sono aspetti particolari del mio cliente che posso raccontare? Lati del processo produttivo o organizzativo che non sono mai stati analizzati e possono avere un impatto sulla vita reale? In che modo il prodotto è entrato nella vita di qualcuno, migliorandola? Il top management può dare informazioni su temi “caldi” come il futuro dei nostri figli, la ricerca di lavoro o l’andamento economico?
Troppo spesso le newsletter e le pagine social dei brand, anche i più famosi, sono completamente incentrati sulla propaganda e sull’immagine.
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