Reddito di cittadinanza: misura sbagliata

Intervento di Enrico Sirotti Gaudenzi (Forza Italia): puntare su sviluppo economico e sul lavoro

Il reddito di cittadinanza è  sbagliato. Per la crescita puntare sullo sviluppo economico e sul lavoro. Questo il pensiero di Enrico Sirotti Gaudenzi (Forza Italia).

Si continua a parlare di reddito di cittadinanza quando la metà degli italiani, oggi, è a carico di qualcun altro!

Ebbene è vero la metà degli italiani, oggi, non paga alcuna tassa né contributo previdenziale. Dalla “quinta indagine conoscitiva Irpef” a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, presentata il 18 settembre scorso presso la sede del CNEL, emerge un quadro molto limpido anche se quasi inverosimile: il nostro sistema di welfare è di fatto insostenibile.

Il rapporto riguardante l’Irpef è basato sulla sostenibilità del welfare italiano, in rapporto alle imposte versate da tutti gli italiani.

Analizziamo quanti siano gli italiani che presentano la dichiarazione dei redditi: su 60,5 milioni di italiani solo 40,8 milioni presentano la dichiarazione dei redditi e solo 30,7 milioni versano almeno un euro di imposte sul reddito (irpef).


Questo ci fa comprendere come la metà degli italiani, oggi, sia a carico di qualcun altro: un familiare o, addirittura, lo Stato.

I dati sopra riportati sono ancora più preoccupanti se consideriamo che ai 30 milioni di persone vanno aggiunti 10 milioni di cittadini che si trovano nella fascia “no tax area”, ovvero dichiarano meno di 7500/8000 euro. Si aggiungono a questi, inoltre, 8 milioni di italiani che trovandosi in una fascia compresa tra i 7500 ed i 15000 euro pur essendo assoggettati ad un’aliquota pari al 23%, beneficiano di forti detrazioni.

Quanto riportato dall’indagine Irpef dimostra chiaramente come il 45% dei contribuenti (che hanno un reddito fino a 20mila) paghi in media 169 euro annui di Irpef; al contrario sopra la soglia dei 35mila euro troviamo il 12% dei contribuenti che paga il 57% dell’intero ammontare Irpef.

Enrico Sirotti Gaudenzi



Se esaminiamo le soglie di reddito più alte i dati saranno i seguenti: sopra i 300mila euro di reddito troviamo solo lo 0,08% dei contribuenti che pagano il 5,5% dell’Irpef complessiva; lo 0,12% dei contribuenti è compreso tra i 200 e i 300 mila euro e, pertanto, versa il 2,9% dell’Irpef e l’1,1% dichiara tra 100mila e 200mila versando il 18,7% del totale.

Questi parametri ci fanno capire come nel nostro Paese sia in atto una profonda opera di redistribuzione del reddito messa in atto dai Governi precedenti: infatti il carico fiscale, negli ultimi anni, è aumentato per tutte le classi di reddito più alte a causa, soprattutto, dell’aumento delle aliquote regionali e locali; il reddito spendibile, di conseguenza, è diminuito, per via della crescenti limitazioni ad accedere a molti servizi pubblici perché titolari di redditi alti e quindi non “tutelati” (ticket sanitari, esenzioni ISEE, ecc.).


Per il 45% circa dei contribuenti, al contrario, il carico fiscale è diminuito e, peraltro, i 10 milioni di italiani più poveri, nonché una quota consistente dei 7 milioni di stranieri legalmente presenti sul territorio nazionale, ricevono dall’Inps 46 miliardi tra invalidità, pensioni sociali, sostegno al reddito e assegni familiari. Un importantissimo sostegno pubblico alla povertà di fatto già esistente.

Un eventuale nuovo “reddito di cittadinanza”, di cui si parla proprio in questi giorni, andrebbe riconosciuto, per uniformarsi a quanto disposto dalla nostra Carta Costituzionale, ad una platea molto più ampia di quella composta dai soli cittadini, ma se si procedesse in tal senso la spesa per il welfare diventerebbe decisamente insostenibile.


Le serie storiche sulla spesa pubblica degli ultimi anni dimostrano che nel crollo generale della spesa dello Stato (investimenti, ammortamenti, consumi intermedi e persino oneri per le retribuzioni), la spesa per il welfare è sempre inesorabilmente cresciuta tra l’1 e il 2% l’anno. Tale crescita
irrefrenabile ha un avallo costituzionale, rafforzato nel 2012 dalle norme sul pareggio di bilancio, in cui si afferma che vanno sempre assicurati “i livelli essenziali delle prestazioni…inerenti i diritti civili e sociali”,
anche a costo di introdurre nuove tasse.

La spesa sociale ed assistenziale, però, dovrebbe essere rapportata rigorosamente al reddito nazionale; proprio per questo non dovrebbe crescere se quest’ultimo cala.

Facendo una considerazione sugli anni passati possiamo affermare che il welfare italiano non è stato intaccato e che i più deboli non hanno avuto danni dai governi di centro-destra: infatti il primo incremento importante delle pensioni minime lo fece il Governo Berlusconi.

Quello che appare evidente, invece, è che le scelte degli ultimi governi hanno peggiorato le cose attuando un fenomeno di ridistribuzione della ricchezza; fino a quando la ricchezza generale cresceva, tutto ciò era sostenuto dal ceto medio, quando la crisi ha cominciato a farsi sentire in Italia, dal 2008, il ceto medio è stato colpito duramente.

Proprio per questo le forze politiche che promettevano maggiore assistenzialismo e reddito gratis per tutti hanno trovato fortuna, ma il rapporto sopra dettagliatamente riportato ci spiega come siano assolutamente sbagliate le misure assistenzialistiche come il  reddito di cittadinanza.


Non solo! Il rapporto mette in evidenza come sia assurdo continuare a tartassare il ceto medio; quest’ultimo se ricevesse una corretta informazione non solo non voterebbe per partiti che propongono maggiore assistenzialismo ma, probabilmente, scenderebbe in piazza!

Oggi il sistema del welfare nel nostro Paese è già ai limiti della sostenibilità. Per pagare le pensioni, la sanità e l’assistenza, occorrono non solo tutte le imposte dirette ma anche parte di quelle indirette; proprio per questo si dovrebbe puntare di più sullo sviluppo economico e sul lavoro (agevolando le imprese che producono ricchezza ed offrono  posti di lavoro) e non sulle misure assistenziali.

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Davide Buratti

Davide Buratti, giornalista professionista, fondatore della Cooperativa Editoriale Giornali Associati che pubblica il Corriere Romagna, di cui dal 1994 e per 20 anni è stato responsabile della redazione di Cesena. Oggi in pensione scrive di politica, economia e attualità a 360 gradi nel suo blog per Romagna Post. Per contatti utilizzate il box commenti sotto gli articoli.