I lavori della campagna di un tempo: la fienagione

Chi in questi giorni ha avuto la possibilità di transitare lungo strade extraurbane ha notato che nei campi erano in corso i lavori tipici di questa stagione, come la fienagione. 
Sembra quasi impossibile immaginare quanto e quale lavoro manuale si svolgeva un tempo per la coltivazione del fieno! Oggi siamo abituati a vedere al lavoro trattori ciclopici sempre più potenti, imballatrici ultrasofisticate che sfornano balle giganti e pesantissime, manovrabili e trasportabili solo con ulteriore tecnologia! 
Cosa succedeva invece un tempo, quando questo lavoro veniva svolto completamente dai contadini, lo raccontano Radames Garoia e Nivalda Raffoni, studiosi delle tradizioni popolari romagnole e profondi conoscitori delle attività agricole.

<<La “spagnêra” (erba spagna), dai fiori blu, quasi azzurro, e “strafojal” (il trifoglio), con i suoi fiori rosso chiaro, e “lupinël” (la lupinella) dal bel fiore rosso a forma di cono, a cui dobbiamo aggiungere avena ed altre graminacee in quantità minore, esordiscono i due esperti, sono i prodotti del prato, che, se lo osserviamo dal punto di vista cromatico, ci richiama la tavolozza di un pittore. Il tutto è chiamato semplicemente “erba” che, dopo il suo sfalcio ed il suo essiccamento al sole, diventa “e fēn” (il fieno). L’insieme di tutte le operazioni di lavoro che si svolgono nei campi coltivati a prato, atte a trasformare l’erba falciata in fieno, viene detta comunemente “e lavor de fēn”, (il lavoro del fieno o fienagione)>>.
<<A metà maggio ci si preparava alla prima fienagione (il ° taglio)”, continuano Radames Garoia e Nivalda Raffoni, “e come attrezzo si usava “la fëra da sghê” (la falce fienaia). Questa è una sottile ed appuntita lama di ferro, opportunamente sagomata ed affilata, sostenuta da un lungo manico in legno, (con una piccola “manarôla” al centro in posizione perpendicolare, per permettere la presa dell’attrezzo ed il suo migliore utilizzo). La falce che aveva riposato nei mesi invernali sospesa alla rastrelliera sotto il porticato, veniva “battuta” a lungo dal contadino. “Bàtar la fëra”(affilare la falce), era un lavoro che  richiedeva esperienza, oltre ad una mano ferma ed una vista buona. Per questa operazione si usava un piccolo incudine appuntito, la cui punta si poneva preferibilmente in una porzione di tronco d’albero, oppure in un pezzo di vecchia trave tagliata. Seduto in terra, per mezzo della “martlēna” (uno speciale martello a contrapposte sezioni appuntite), il falciatore procedeva a “martellare” con uguale intensità sul bordo esterno e tagliente della lama appoggiata allo spigolo dell’incudine, per renderla sempre più sottile ed affilata. I colpi del martello si inseguivano ritmicamente nell’aria, fino a quando si otteneva un  taglio affilato ed uniforme>>.


<<“Sghê e fēn cun la fëra” (tagliare il fieno con la falce)”, precisano Radames e Nivalda, “era uno dei lavori più faticosi: si iniziava al mattino presto, all’albeggiare, perché l’erba era più fresca e si tagliava meglio, ma soprattutto perchè l’erba tagliata potesse asciugarsi al sole nelle ore centrali della giornata. Di solito durante la  fienagione alcuni contadini si trovavano per lo scambio di manodopera; compatibilmente al proprio tempo disponibile, si univano anche alcuni uomini, parenti della famiglia, nonostante fossero un po’ più inesperti. In alternativa si poteva ricorrere all’”acquisto” di manovalanza bracciantile nei mercati cittadini della manodopera (a Forlì era alla Porta Schiavonia). Nel loro lento procedere con il lavoro, impugnavano il lungo manico in legno e portavano con energia la falce da destra verso sinistra, cercando di tenerla il più vicino possibile al terreno e tagliava una striscia di erba tagliata di circa un metro e mezzo.
A volte mentre procedevano nello sfalcio dell’erba, si alzava in volo una quaglia; i falciatori prestavano attenzione a non danneggiare il suo nido, presumibilmente nei paraggi; esso veniva ben presto individuato dentro una minuscola incavatura a forma di conca, (probabilmente una vecchia pedata di bovino lasciata nella stagione precedente), contenente una manciata di uova.
Ogni tanto facevano una breve pausa per tergere il sudore della fronte e per dissetarsi con acqua e vino che tenevano in una sporta all’ombra dei filari, onnipresenti ai lati dei campi da falciare. L’acqua si manteneva fresca avvolgendo le bottiglie in sacchi di juta bagnati. Ogni tanto arrivavano da casa per integrare le bevande che, specialmente se era molto caldo, si assumevano a profusione; le donne di casa o ragazzini, oppure anziani non più in grado di usare la falce, portavano acqua fresca e vino>>.
<<Durante questa pausa i lavoratori affilavano la falce con la pré da rudê (la pietra “cote”)”, ricordano Radames e Nivalda, “che tenevano “int e cudêr” (nel porta cote), un piccolo raccoglitore legato alla cintura dei pantaloni, nella parte posteriore; in esso, oltre alla pietra ed all’acqua, il falciatore teneva un bastoncino, la cui cima fuoriusciva dal contenitore, con uno straccio avvolto in cima, che, inzuppato d’acqua, serviva a bagnare il taglio della falce  permettendo una miglior affilatura>>.
Verso i primi decenni del secolo scorso, apparve la macchina falciatrice (la “màchina da sghê” o “sgadôra”) che fu accolta con entusiasmo dai contadini! Era un macchinario completamente in ferro, il cui funzionamento era costituito da un astruso meccanismo di aste e ruote dentate, alcune delle quali erano totalmente a bagno nell’olio. La lama da taglio era una barra sbecchettata di oltre un metro che sporgeva  nel lato destro. Al centro di questa macchina, in cima ad un piantone in ferro, vi era un rudimentale sedile su cui stava l’operatore, necessario per garantire l’operatività dell’attrezzo.
Nel prossimo testo verranno ricordate le operazioni, altrettanto faticose, che i contadini compivano dopo la fienagione. 

Gabriele Zelli 

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Marco Viroli

Marco Viroli è nato a Forlì il 19 settembre 1961. Scrittore, poeta, giornalista pubblicista, copywriter, organizzatore di eventi, laureato in Economia e Commercio, nel suo curriculum vanta una pluriennale esperienza di direzione artistica e organizzazione di mostre d’arte, reading, concerti, spettacoli, incontri con l’autore, ecc., per conto di imprese ed enti pubblici. Dal 2006 al 2008 ha curato le rassegne “Autori sotto la torre” e “Autori sotto le stelle” e, a cavallo tra il 2009 e il 2010, si è occupato di pubbliche relazioni per la Fondazione “Dino Zoli” di arte contemporanea. Tra il 2010 e il 2014 ha collaborato con “Cervia la spiaggia ama il libro” (la più antica manifestazione di presentazioni librarie in Italia) e con “Forlì nel Cuore”, promotrice degli eventi che si svolgono nel centro della città romagnola. Dal 2004 è scrittore e editor per la casa editrice «Il Ponte Vecchio» di Cesena. Autore di numerose prefazioni, dal 2010 cura la rubrica settimanale “mentelocale” sul free press settimanale «Diogene», di cui, dal 2013, è anche direttore responsabile. Nel 2013 e nel 2014, ha seguito come ufficio stampa le campagne elettorali di Gabriele Zelli e Davide Drei, divenuti poi rispettivamente sindaci di Dovadola (FC) e Forlì. Nel 2019 ha supportato come ufficio stampa la campagna elettorale di Paola Casara, candidata della lista civica “Forlì cambia” al Consiglio comunale di Forlì, centrando anche in questo caso l’obiettivo. Dal 2014 al 2019 è stato addetto stampa di alcune squadre di volley femminile romagnole (Forlì e Ravenna) che hanno militato nei campionati di A1, A2 e B. Come copywriter freelance ha collaborato con alcune importanti aziende locali e nazionali. Dal 2013 al 2016 è stato consulente di PubliOne, agenzia di comunicazione integrata, e ha collaborato con altre agenzie di comunicazione del territorio. Dal 2016 al 2017 è stato consulente di MCA Events di Milano e dal 2017 al 2020 ha collaborato con la catena Librerie.Coop come consulente Ufficio Stampa ed Eventi. Dal 2016 al 2020 è stato fondatore e vicepresidente dell’associazione culturale Direzione21 che organizza la manifestazione “Dante. Tòta la Cumégia”, volta a valorizzare Forlì come città dantesca e che culmina ogni anno con la lettura pubblica integrale della Divina Commedia. Da settembre 2019 a dicembre 2020 è stato fondatore e presidente dell’associazione culturale “Amici dei Musei San Domenico e dei monumenti e musei civici di Forlì”. Da dicembre 2020 è direttore artistico della Fabbrica delle Candele, centro polifunzionale della creatività del Settore delle Politiche Giovanili del Comune di Forlì. PRINCIPALI PUBBLICAZIONI Nel 2003 ha pubblicato la prima raccolta di versi, Se incontrassi oggi l’amore. Per «Il Ponte Vecchio» ha dato alle stampe Il mio amore è un’isola (2004), Nessun motivo per essere felice (foto di N. Conti, 2007) e "Canzoni d'amore e di funambolismo (2021). Suoi versi sono apparsi su numerose antologie, tra cui quelle dedicate ai Poeti romagnoli di oggi e… («Il Ponte Vecchio», 2005, 2007, 2009, 2011, 2013), Sguardi dall’India (Almanacco, 2005) e Senza Fiato e Senza Fiato 2 (Fara, 2008 e 2010). I suoi libri di maggior successo sono i saggi storici pubblicati con «Il Ponte Vecchio»: Caterina Sforza. Leonessa di Romagna (2008), Signore di Romagna. Le altre leonesse (2010), I Bentivoglio. Signori di Bologna (2011), La Rocca di Ravaldino in Forlì (2012). Nel 2012 è iniziato il sodalizio con Gabriele Zelli con il quale ha pubblicato: Forlì. Guida alla città (foto di F. Casadei, Diogene Books, 2012), Personaggi di Forlì. Uomini e donne tra Otto e Novecento («Il Ponte Vecchio», 2013), Terra del Sole. Guida alla città fortezza medicea (foto di F. Casadei, Diogene Books, 2014), I giorni che sconvolsero Forlì («Il Ponte Vecchio», 2014), Personaggi di Forlì II. Uomini e donne tra Otto e Novecento («Il Ponte Vecchio», 2015), Fatti e Misfatti a Forlì e in Romagna («Il Ponte Vecchio», 2016), Fatti e misfatti a Forlì e in Romagna volume 2 («Il Ponte Vecchio», 2017); L’Oratorio di San Sebastiano. Gioiello del Rinascimento forlivese (Tip. Valbonesi, 2017), Fatti e misfatti a Forlì e in Romagna, vol. 3 («Il Ponte Vecchio», 2018). Nel 2014, insieme a Sergio Spada e Mario Proli, ha pubblicato per «Il Ponte Vecchio» il volume Storia di Forlì. Dalla Preistoria all’anno Duemila. Nel 2017, con Castellari C., Novara P., Orioli M., Turchini A., ha dato alle stampe La Romagna dei castelli e delle rocche («Il Ponte Vecchio»). Nel 2018 ha pubblicato, con Marco Vallicelli e Gabriele Zelli., Antiche pievi. A spasso per la Romagna, vol.1 (Ass. Cult. Antica Pieve), cui ha fatto seguito, con gli stessi coautori, Antiche pievi. A spasso per la Romagna, vol. 2-3-4 (Ass. Cult. Antica Pieve). Nel 2019, ha pubblicato con Flavia Bugani e Gabriele Zelli Forlì e il Risorgimento. Itinerari attraverso la città, foto di Giorgio Liverani,(Edit Sapim, 2019). Sempre nel 2019 ha pubblicato a doppia firma con Gabriele Zelli Fatti e Misfatti a Forlì e in Romagna volume 4 («Il Ponte Vecchio») e Forlì. Guida al cuore della città (foto di F. Casadei, Diogene Books). Con Gabriele Zelli ha inoltre dato alle stampe: La grande nevicata del 2012 (2013), Sulle tracce di Dante a Forlì (2020), in collaborazione con Foto Cine Club Forlì, Itinerario dantesco nella Valle dell’Acquacheta (2021), foto di Dervis Castellucci e Tiziana Catani, e I luoghi di Paolo e Francesca nel Forlivese (2021), foto di D. Castellucci e T. Batani. È inoltre autore delle monografie industriali: Caffo. 1915-2015. Un secolo di passione (Mondadori Electa, 2016) e Bronchi. La famiglia e un secolo di passione imprenditoriale (Ponte Vecchio, 2016). 

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