Dopo la fienagione quando l’erba diventa fieno

I lavori agricoli di un tempo raccontati da Radames Garoia e Nivalda Raffoni

Sempre con l’aiuto e la testimonianza di Radames Garoia e Nivalda Raffoni, esperti delle tradizioni popolari romagnole, si ricostruiscono le fasi di lavoro successive alla fienagione, un momento importante di questo periodo dell’anno della vita dei campi, sia in passato sia nella realtà odierna, che oggi viene svolto con modalità totalmente diverse. Occorre considerare che la meccanizzazione dei lavori agricoli ha portato cambiamenti epocali, tant’è che quello che un tempo veniva praticato a mano ai nostri giorni può essere effettuato con mezzi altamente tecnologizzati. 

Da erba a fieno  
<<Se la stagione era propizia, (sole, caldo e moderata ventilazione)”, raccontano Radames Garoia e Nivalda Raffoni, “in due-tre giorni avveniva il processo di essiccazione dell’erba facendola diventare fieno. Per favorirne l’essicazione l’erba tagliata veniva sparpagliata, non appena si asciugava la rugiada, con le forche e forconi, o “furchêl” (forcali), come meglio conosciuti in Romagna. Per lavorare il fieno essiccato senza danneggiarlo era consigliato il tridente (forcale a tre rebbi). Dopo un giorno di sole il fieno veniva rivoltato e dopo un’altra giornata di bel tempo (se pioveva erano guai), veniva rastrellato e radunato in piccoli mucchi, per rendere più facile il suo caricamento sul carro e il suo trasporto sull’aia per l’allestimento del pagliaio>>. 
<<Per raccogliere tutto il prezioso prodotto dal terreno”, sono sempre parole dei due esperti, “oltre alle forche in legno, si usavano anche rastrelli di diverse misure, in legno, frutto della manodopera invernale nei tempi morti della stagione agraria; lavori che venivano svolti generalmente nelle stalle o sotto il porticato di casa. Già molto prima della seconda guerra mondiale, nelle nostre campagne fece la sua comparsa “e rastlōn” (il rastrellone o rastrellatrice), attrezzo trainato dai bovini, con ruote in ferro di grande diametro ed un sedile su un piantone atto ad ospitare l’operatore (similmente alla macchina falciatrice). Una serie di grandi denti ricurvi che strisciavano nel terreno per raccogliere il prodotto falciato rimasto, venivano sollevati con un comando a pedale, lasciando una andana di fieno da ammucchiare>>. 

Il pagliaio 
L’operazione successiva consisteva nel trasporto del fieno nell’aia della casa colonica per l’edificazione del pagliaio. Con il carro agricolo presente in tutte le case contadine, su cui venivano montate “agl’armadùr” (le “armature”), lunghi pali di legno appoggiati e fissati al piano dello stesso, incrociati perpendicolarmente e sistemati in modo da aumentarne la superficie di carico. Anche “e baröz” (il biroccio a due ruote), seppur con minor capacità di carico, si prestava allo scopo.<<In collina ed in montagna, era preferibile usare la “trézza” (la traggia)”, proseguono nel racconto Radames Garoia e Nivalda Raffoni, “una specie di slitta che strisciava sul terreno, ugualmente trainata dalle “bestie”. Questo attrezzo era più sicuro ed aveva meno probabilità di rovesciarsi, in presenza di forti pendenze. A volte, in assenza degli attrezzi descritti, ma soprattutto nelle zone collinari, si poteva usare un lungo palo di legno (che portava un grosso anello fissato nella parte più grossa) infilato sotto un grande mucchio di fieno; una lunga corda, fissata all’estremità più sottile del palo, dopo aver sovrastato e stretto il fieno presente, veniva fatta passare dentro l’anello ed attaccata direttamente al giogo. Il traino  faceva sì che la massa del fieno venisse stretta in questa specie di cappio, favorendone il trasposto per strisciamento (come per la treggia).Il pagliaio veniva costruito quasi sempre a sezione circolare, attorno alla “zarbêla” (stollo, lungo palo infisso nel terreno) e poteva raggiungere un’altezza di quattro o cinque metri. Per salvaguardare il fieno dalla pioggia, nella parte superiore veniva messo uno strato di paglia, fermata con una fila di canne piantate tutte alla stessa altezza lungo la circonferenza del pagliaio stesso. A maggior sicurezza venivano sistemati sullo stesso alcuni lunghi fili di ferro, incrociati tra di loro, (oppure legati ad un anello di ferro infilato nel palo centrale) alle cui estremità venivano legate delle pietre (“al tumbēn”); anche questo espediente aveva la funzione di tenere ferma la parte superiore del pagliaio in occasione di temporali e forte vento. 
Sul palo centrale del pagliaio era usanza mettere un vecchio bidone rovesciato, per proteggere il legno dalla pioggia e conseguente marciume. Spesso era ingentilito da un piccolo aereo di legno, che col timone di coda si orientava controcorrente, mentre un’elica di lamiera girava con la forza del vento>>.
<<La stagione avversa, con piogge frequenti e sbalzi di temperatura durante la fienagione”, concludono Radames Garoia e Nivalda Raffoni, “poteva causare una partita di fieno con un percentuale di umidità abbastanza alta, per cui si edificava un pagliaio di prodotto poco appetibile. Esisteva in commercio un tipo di sale grezzo, color marrone e dal costo contenuto, che veniva sparso nella massa del fieno durante la sua edificazione. Quaranta-cinquanta chilogrammi bastavano per un pagliaio normale e contribuivano a rendere il fieno più gradito agli animali della stalla. I bovini erano ghiotti di sale: ne era una prova il continuo leccare, nel muro sopra la “grèpia” (la mangiatoia), le bolle bianche di salnitro causate dall’umidità della stalla. Addirittura esistevano appositi rulli intercambiabili da attaccare al muro (uno per capo), con contenuto di sale>>.

Gabriele Zelli 

“La raccolta del fieno in Brianza” è un dipinto che Baldassarre Longoni realizza attorno ad un ciclo incentrato sul lavoro contadino. Sotto un chiarissimo cielo solcato da poche nuvole il pittore comasco tratteggia un paesaggio coperto da onde di fieno pennellate di toni gialli in chiaroscuro. Tecnica: Olio su tela,, 109 x 109 cm. Firmato in basso a destra “B. Longoni”

Questo post è stato letto 128 volte

Avatar photo

Marco Viroli

Marco Viroli è nato a Forlì il 19 settembre 1961. Scrittore, poeta, giornalista pubblicista, copywriter, organizzatore di eventi, laureato in Economia e Commercio, nel suo curriculum vanta una pluriennale esperienza di direzione artistica e organizzazione di mostre d’arte, reading, concerti, spettacoli, incontri con l’autore, ecc., per conto di imprese ed enti pubblici. Dal 2006 al 2008 ha curato le rassegne “Autori sotto la torre” e “Autori sotto le stelle” e, a cavallo tra il 2009 e il 2010, si è occupato di pubbliche relazioni per la Fondazione “Dino Zoli” di arte contemporanea. Tra il 2010 e il 2014 ha collaborato con “Cervia la spiaggia ama il libro” (la più antica manifestazione di presentazioni librarie in Italia) e con “Forlì nel Cuore”, promotrice degli eventi che si svolgono nel centro della città romagnola. Dal 2004 è scrittore e editor per la casa editrice «Il Ponte Vecchio» di Cesena. Autore di numerose prefazioni, dal 2010 cura la rubrica settimanale “mentelocale” sul free press settimanale «Diogene», di cui, dal 2013, è anche direttore responsabile. Nel 2013 e nel 2014, ha seguito come ufficio stampa le campagne elettorali di Gabriele Zelli e Davide Drei, divenuti poi rispettivamente sindaci di Dovadola (FC) e Forlì. Nel 2019 ha supportato come ufficio stampa la campagna elettorale di Paola Casara, candidata della lista civica “Forlì cambia” al Consiglio comunale di Forlì, centrando anche in questo caso l’obiettivo. Dal 2014 al 2019 è stato addetto stampa di alcune squadre di volley femminile romagnole (Forlì e Ravenna) che hanno militato nei campionati di A1, A2 e B. Come copywriter freelance ha collaborato con alcune importanti aziende locali e nazionali. Dal 2013 al 2016 è stato consulente di PubliOne, agenzia di comunicazione integrata, e ha collaborato con altre agenzie di comunicazione del territorio. Dal 2016 al 2017 è stato consulente di MCA Events di Milano e dal 2017 al 2020 ha collaborato con la catena Librerie.Coop come consulente Ufficio Stampa ed Eventi. Dal 2016 al 2020 è stato fondatore e vicepresidente dell’associazione culturale Direzione21 che organizza la manifestazione “Dante. Tòta la Cumégia”, volta a valorizzare Forlì come città dantesca e che culmina ogni anno con la lettura pubblica integrale della Divina Commedia. Da settembre 2019 a dicembre 2020 è stato fondatore e presidente dell’associazione culturale “Amici dei Musei San Domenico e dei monumenti e musei civici di Forlì”. Da dicembre 2020 è direttore artistico della Fabbrica delle Candele, centro polifunzionale della creatività del Settore delle Politiche Giovanili del Comune di Forlì. PRINCIPALI PUBBLICAZIONI Nel 2003 ha pubblicato la prima raccolta di versi, Se incontrassi oggi l’amore. Per «Il Ponte Vecchio» ha dato alle stampe Il mio amore è un’isola (2004), Nessun motivo per essere felice (foto di N. Conti, 2007) e "Canzoni d'amore e di funambolismo (2021). Suoi versi sono apparsi su numerose antologie, tra cui quelle dedicate ai Poeti romagnoli di oggi e… («Il Ponte Vecchio», 2005, 2007, 2009, 2011, 2013), Sguardi dall’India (Almanacco, 2005) e Senza Fiato e Senza Fiato 2 (Fara, 2008 e 2010). I suoi libri di maggior successo sono i saggi storici pubblicati con «Il Ponte Vecchio»: Caterina Sforza. Leonessa di Romagna (2008), Signore di Romagna. Le altre leonesse (2010), I Bentivoglio. Signori di Bologna (2011), La Rocca di Ravaldino in Forlì (2012). Nel 2012 è iniziato il sodalizio con Gabriele Zelli con il quale ha pubblicato: Forlì. Guida alla città (foto di F. Casadei, Diogene Books, 2012), Personaggi di Forlì. Uomini e donne tra Otto e Novecento («Il Ponte Vecchio», 2013), Terra del Sole. Guida alla città fortezza medicea (foto di F. Casadei, Diogene Books, 2014), I giorni che sconvolsero Forlì («Il Ponte Vecchio», 2014), Personaggi di Forlì II. Uomini e donne tra Otto e Novecento («Il Ponte Vecchio», 2015), Fatti e Misfatti a Forlì e in Romagna («Il Ponte Vecchio», 2016), Fatti e misfatti a Forlì e in Romagna volume 2 («Il Ponte Vecchio», 2017); L’Oratorio di San Sebastiano. Gioiello del Rinascimento forlivese (Tip. Valbonesi, 2017), Fatti e misfatti a Forlì e in Romagna, vol. 3 («Il Ponte Vecchio», 2018). Nel 2014, insieme a Sergio Spada e Mario Proli, ha pubblicato per «Il Ponte Vecchio» il volume Storia di Forlì. Dalla Preistoria all’anno Duemila. Nel 2017, con Castellari C., Novara P., Orioli M., Turchini A., ha dato alle stampe La Romagna dei castelli e delle rocche («Il Ponte Vecchio»). Nel 2018 ha pubblicato, con Marco Vallicelli e Gabriele Zelli., Antiche pievi. A spasso per la Romagna, vol.1 (Ass. Cult. Antica Pieve), cui ha fatto seguito, con gli stessi coautori, Antiche pievi. A spasso per la Romagna, vol. 2-3-4 (Ass. Cult. Antica Pieve). Nel 2019, ha pubblicato con Flavia Bugani e Gabriele Zelli Forlì e il Risorgimento. Itinerari attraverso la città, foto di Giorgio Liverani,(Edit Sapim, 2019). Sempre nel 2019 ha pubblicato a doppia firma con Gabriele Zelli Fatti e Misfatti a Forlì e in Romagna volume 4 («Il Ponte Vecchio») e Forlì. Guida al cuore della città (foto di F. Casadei, Diogene Books). Con Gabriele Zelli ha inoltre dato alle stampe: La grande nevicata del 2012 (2013), Sulle tracce di Dante a Forlì (2020), in collaborazione con Foto Cine Club Forlì, Itinerario dantesco nella Valle dell’Acquacheta (2021), foto di Dervis Castellucci e Tiziana Catani, e I luoghi di Paolo e Francesca nel Forlivese (2021), foto di D. Castellucci e T. Batani. È inoltre autore delle monografie industriali: Caffo. 1915-2015. Un secolo di passione (Mondadori Electa, 2016) e Bronchi. La famiglia e un secolo di passione imprenditoriale (Ponte Vecchio, 2016). 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *