La sfida progressista

Servw una visione forte su cosa cambiare

CESENA. Alla schiacciante vittoria elettorale della destra le forze progressiste e riformiste non hanno ancora dato una risposta adeguata. Potrebbe essere lecito in quanto la “ferita” è fresca. Il problema è che si ha l’impressione che si faccia poco o niente per strutturare una linea ferma e determinata. Discutere il nome del nuovo segretario del Pd, eventuali convergenze fra Pd, M5S e Terzo Polo o anche la nascita di nuove formazioni politiche sono tentazioni di soluzioni tattiche che rischiano di far perdere l’ occasione di studiare cosa fare per dare una risposta alla protesta che dilaga nel ceto medio e nella classe meno abbiente. Quella che ha abbandonato (o lo sta facendo) il Pd. Ma perché succede? Perché la classe operaia ha votato Giorgia Meloni?

Il problema principale è che è visto come un partito tutto compromessi politici e spartizione di potere. Questo perché è nato nel 2007,  all’ apice della narrazione ottimistica sulla globalizzazione neo-liberale, che di lì a poco si è infranta sugli scogli delle crisi a catena. Per di più, allora era il partito che governava quasi tutto in Italia, il che lo ha reso privo di una visione “forte” su cosa cambiare. 

Ma anche perché non ha dato risposte adeguate a temi importanti innescati dalle crisi.  A partire dalla sanità che fatica a dare risposte ai problemi provocati dall’allungamento della vita. E’ indubitabile che si debba ripensare la spesa sanitaria come quella per l’istruzione alla luce di un dato in continua crescita di giovani che rinunciano agli studi universitari, anche se non riescono a trovare lavoro. Un Paese dove i giovani non hanno fiducia nelle proprie Università è condannato al malessere perenne. Una profonda riflessione è necessaria anche sul fronte del lavoro in quanto le innovazioni lo stanno modificando in modo radicale. Sull’ economia poi c’è un problema legato alla “finanziarizzazione”. Ormai le  corporation trovano più conveniente investire i profitti in titoli derivati o altri strumenti puramente finanziari per garantirsi una rendita, anziché reinvestirli nel capitale umano, nella formazione dei dipendenti, nella loro retribuzione. Un altro grande tema dimenticato è quello delle diseguaglianze. Il differenziale retributivo fa manager e dipendenti è aumentato vertiginosamente senza alcuna giustificazione economica. Così facendo però aumentano le diseguaglianze, già accentuate dalle carenze nelle politiche pubbliche, nell’ istruzione, nei servizi sanitari, nei servizi sociali e nel sistema fiscale.

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Davide Buratti

Davide Buratti, giornalista professionista, fondatore della Cooperativa Editoriale Giornali Associati che pubblica il Corriere Romagna, di cui dal 1994 e per 20 anni è stato responsabile della redazione di Cesena. Oggi in pensione scrive di politica, economia e attualità a 360 gradi nel suo blog per Romagna Post. Per contatti utilizzate il box commenti sotto gli articoli. 

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