Senza interventi quella attuale potrebbe essere la botta del non ritorno
CESENA. L’alta inflazione, concentrata su energia ed alimentari, sta provocando una frattura fra classi di reddito. Il differenziale nell’impatto fra le fasce di reddito più povera e più benestante ha toccato i massimi dal 2006. Si spiega così “il rialzo del numero delle famiglie che si aspettano di dover pagare in ritardo le bollette”. Lo rileva uno studio della Bce.
Di fronte allo stesso aumento di spesa energetica, spiega il rapporto, “la riduzione dei risparmi nelle famiglie del quintile di redditi più basso è oltre cinque-sei volte quella delle famiglie nel quintile più alto”. I nuclei hanno ridotto drasticamente le aspettative di crescita dei propri redditi nei prossimi dodici mesi, pur di fronte a previsioni di spesa rimaste invariate.
I mancati interventi necessari per sostenere i redditi bassi non potevano comunque essere giustificati, ma, a questo punto, cade qualsiasi forma di giustificazione a chi ancora non è intervenuto. E di cose urgenti da fare ce ne sono parecchie, a partire dalla lotta alla speculazione che è una delle cause, se non la principale, alla base dell’inflazione, carro sul quale sono saliti in troppi per applicare aumenti che in molti casi non sono per nulla giustificati. Aumenti che determinano anche quello che sarà il futuro assetto del carrello spesa. In pratica sta avvenendo quello che successe con il passaggio fra lira ed euro. Ci furono aumenti ingiustificati che diedero il primo scossone alla capacità di spesa.
Situazione che non solo non fu sanata, ma peggiorò col passare del tempo. Adesso arriva quella che potrebbe essere la “botta” decisiva. Questa volta se la situazione non sarà tamponata non ci saranno feriti, ma morti. E la prima sarà l’economia. Perché la forza dell’Italia è sempre stata la capacità di spesa delle famiglie. Se non ci sarà un’inversione di tendenza i rischi sono altissimi. Del resto i numeri sono impietosi: quest’ anno il Pil italiano crescerà del 3,3% recuperando del tutto il buco provocato dal Covid. A fine 2022 avremo quindi un Pil reale pro-capite di circa 27.400 euro, uguale a quello del 2019, ma anche a quello che avevamo nel 2000 .Quindi siamo fermi da 22 anni. Con una differenza sostanziale: nel 2000 i nostri 27.400 euro erano superiori alla media dell’ Unione europea del 20% e alla media dell’ area euro del tre per cento. Adesso sono inferiori del sette per cento alla media Ue e del quindici rispetto alla media dei Paesi dell’euro. Se, in futuro, l’ economia italiana dovesse crescere dell’un per cento all’ anno, il nostro Pil pro-capite non raggiungerebbe più la media europea. Se dovessimo invece crescere al tre per cento all’ anno potremmo riportarci alla media Ue nel 2032 e a quella dei Paesi euro nel 2037.
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