Cesena ha una rete imprenditoriale diffusa, ma anche colossi che possono fare molto per la città
Solo grazie ad un tessuto economico importante Cesena è riuscita ad assorbire il crac di due delle principali banche cittadine. Molti altri territori avrebbero avuto conseguenze molto più pesanti. Cesena è andata meglio per la presenza di un’imprenditorialità diffusa e di diverse dimensioni. Si passa dalle aziende piccole e piccolissime alle grandi imprese.
Tra i colossi ci sono vere e proprie eccellenze: Amadori, Apofruit, Technogym, Trevi. Quest’ultima, per la verità, ora ha qualche problemino che fino a qualche anno fa era impensabile. In passato c’era anche Olidata. Poi ebbe dei problemi, ma ora potrebbe tornare a crescere. I segnali sono positivi. Ma sarà molto difficile (se non impossibile) tornare ai livelli di un tempo.
Ma come è il rapporto fra queste grandi imprese e la città? Premesso che si potrebbe sempre fare di più, tutto sommato non ci si può lamentare. In questi casi è sempre difficile stilare una classifica. E, comunque, si tratterebbe di un puro esercizio dialettico. Su Trevi sospendo ogni giudizio in attesa di un assetto definitivo.
Credo sia fuori di dubbio che è Technogym l’azienda dalla quale i cesenati di sentono più distanti. Forse perché è la più recente. Ma anche perché non è scattato il feeling con Nerio Alessandri, fondatore e patron dell’azienda indigena più internazionale. Nonostante, ad esempio, a Natale Alessandri vada alla messa al Monte assieme alla figlia e indossando i jeans, non c’è empatia con la città. Essenzialmente perché viene visto come il capitano l’industria freddo e calcolatore. E non fa niente per creare un’inversione di tendenza. È ritenuto l’imprenditore a suo agio nei salotti buoni (come in effetti è) di Confindustria e non come l’uomo della porta accanto come invece era considerato Francesco Amadori.
Non che il fondatore dell’impero di San Vittore non guardasse il suo interesse. Anzi. Ma è fuori di dubbio che la sua romagnolità lo abbia aiutato ad essere più simpatico. Poi partivano improperi di ogni tipo quando da San Vittore si alzavano odori non proprio gradevoli. La Amadori è sempre in mano alla famiglia, ma ora si è data un assetto diverso. Più manageriale. Francesco mangiava soprattutto pollo e la domenica andava a visitare gli allevamenti. Era tutto molto più semplice. La strategia comunicativa (vedi la decisione di far diventare Francesco l’immagine televisiva) fu presa durante in viaggio in auto di ritorno da Milano.
Adesso fattura più di un miliardo all’anno, è guidata da manager e va a presentare le nuove linee nei ristoranti stellati. Però con la città il rapporto resta, tutto sommato, buono ed è su questo che la famiglia dovrà lavorare. Anche per migliorarlo. I manager invece devono incrementare il livello di export che è troppo basso.
Un buon feeling con la città ce lo ha anche Orogel. Bruno Piraccini, fondatore e guida senza soluzione di continuità, è stato bravo a spingere i bottoni giusti. In particolare quelli calcistici. Con il passare degli anni l’azienda di Pievesestina ha assunto una dimensione sempre più nazionale è leader nel suo settore, ci sono state acquisizioni e la comunicazione si sia adeguata. Però il rapporto con la città non si è mai sfilacciato. L’obiettivo è mantenerlo tale anche nel dopo Piraccini. È questo il vero banco di prova. Il fondatore non è eterno. E deve essere bravo a gestire la sua successione. Serve un passaggio di consegne graduale e nel segno della continuità.
Un po’ quello che è successo ad Apofruit, altra società cooperativa. Renzo Piraccini, il manager che l’ha portata all’attuale dimensione, ha avuto il merito di gestire bene il passaggio di consegne. In Apofruit prima e Almaverde Bio (due facce della stessa medaglia) in un secondo momento. Per il resto l’azienda ha poche tensioni e quando la città chiama risponde presente. A livello industriale deve continuare il percorso sulla strada della qualità.
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