Uno bianca: un docufilm troppo lacunoso

Quello trasmesso su Rai Due ha ignorato quello successo a Cesena e Rimini

CESENA. Una mezza delusione il docufilm sulla banda della Uno bianca trasmesso ieri sera su Rai due. Un documentario che non aggiunge niente e, soprattutto, lacunoso. Un collega su Facebook ha scritto un commento che condivido: la solita ricostruzione di chi non ha vissuto la vicenda da cronista e vuole costruirsi il mistero. Inoltre non si può parlare di “Vera storia della Uno bianca” realizzando un prodotto bolognacentrico senza prendere in esame quello che è successo in Romagna. Qualcosa (pochissimo) è stato citato degli episodi capitati nel Riminese, assolutamente niente di quelli cesenati. Dimenticandosi che Cesena e Rimini sono stati i luoghi dove la banda dei fratelli Savi ha scorrazzato in lungo e in largo facendo morti e feriti e spargendo terrore.

L’omicidio dei due senegalesi sulla Statale Adriatica (foto Venanzio Raggi)

Cesena ha pagato un pegno altissimo. Ci sono stati due morti: Graziano Mirri, benzinaio, e Edo Merendi, bancario deceduto dopo anni durante i quali non si è mai ripreso, fisicamente e psicologicamente, dalle ferite provocate da Fabio Savi durante una rapina alla filiale del Credito Romagnolo di viale Oberdan. Poi, al confine con Rimini, sulla Statale Adriatica c’è stato l’omicidio dei due senegalesi. Ma anche la rapina con esplosivo all’ufficio postale di Case Finali. In precedenza c’era stata la sparatoria in autostrada (zona Ruffio) con la polizia dove furono feriti Antonio Mosca (poi deceduto) e Ada Di Campi. Ma questi sono solo gli episodi più eclatanti. La punta di un iceberg.

Roberto Savi

Cesena non era stata scelta a caso. E’ la città dove è cresciuto Roberto Savi, il capo della banda sanguinaria. Da bambino abitava a Case Finali, sotto al seminario. Suo padre aveva una piccola attività industriale (lavorazione del cioccolato) in zona Stadio. Inoltre fu un cesenate il primo a ipotizzare che i banditi fossero militari o qualcosa del genere. Libero Gualtieri, allora presidente della commissione Stragi, disse che la banda era composta da “schegge impazzite dello Stato”. Teoria poi ripresa da Roberto Sapio, sostituto  procuratore del tribunale di Rimini, che indagava sulla banda. Dopo l’omicidio dei due senegalesi in un’intervista rilasciata al sottoscritto tornò a parlare, senza mezzi terminio, di schegge impazzite dello Stato. 

Ma Cesena fu teatro di un altro episodio curioso. Il commissariato di Cesena fu il primo in assoluto a mettere nel mirino i fratelli Savi. Successe che l’allora dirigente scelse di far fare ai suoi uomini un lavoro meticoloso: contattare tutte le armerie dell’Emilia Romagna e farsi dare i nomi degli acquirenti delle pallottole usate dalla banda. Poi tutti dovevano essere sentiti. Spuntò anche il nome di Roberto Savi che fu convocato in commissariato. Si presentò in divisa e disse che quelle pallottole le acquistava per usarle al poligono. I poliziotti cesenati gli credettero.  

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Davide Buratti

Davide Buratti, giornalista professionista, fondatore della Cooperativa Editoriale Giornali Associati che pubblica il Corriere Romagna, di cui dal 1994 e per 20 anni è stato responsabile della redazione di Cesena. Oggi in pensione scrive di politica, economia e attualità a 360 gradi nel suo blog per Romagna Post. Per contatti utilizzate il box commenti sotto gli articoli.