Abbiamo l’obbligo di essere ottimisti. Sia chiaro: la situazione economica non è migliorata. I dati continuano ad essere negativi. Nel commercio, ad esempio, solo meno del cinque per cento delle aziende fa segnare una crsscita di fatturato. Ma il catastrofismo non serve, anche se vedere il bicchiere mezzo pieno è sempre più difficile. Ci si può riuscire solo se si resetta il modo di vedere e pensare le cose.
In questi anni tutti (in modi e momenti diversi) hanno preso atto della crisi e della grave situazione nella quale siamo precipitati. Ma in parecchi non hanno capito (o non hanno voluto farlo) che il mondo è cambiato. Era ed è ancora diffusa la sensazione che si debba fare passare la nottata e, quindi, si aspettano segnali positivi dalle rilevazioni. Invece dobbiamo avere il coraggio di dirci che nulla sarà più come prima.
Difficile fare previsioni, ma è ipotizzabile che i livelli pre crisi potranno tornare fra una decina di anni, forse qualcosa in meno. Comunque saranno passati tre o, addirittura, quattro lustri. Del resto molti analisti sostengono (a ragione) che un passo indietro era necessario: da troppo tempo vivevamo al di sopra delle nostre possibilità.
Preso atto di questa situazione, dobbbiamo avere la forza di ripartire sforzandoci di essere ottimisti abbeverandoci di quei timidissimi segnali positivi che arrivano dal mondo economico/produttivo: cresce la percentuale di commercianti che ritiene che la situazione possa migliorare, in diversi istituti di credito sono in aumento i mutui erogati per investimenti, sta molto lentamente crescendo l’attenzione anche verso il mercato degli immobili al di sotto dei 250 mila euro di costo, da settembre le banche (grazie all’intervento della Bce) potranno accedere a prestiti pressoché illimitati.
Detto questo, è però necessario che gli imprenditori capiscano che è necessario cambiare il modo di fare impresa. Del resto è sotto gli occhi di tutti che anche in questa fase recessiva le imprese che hanno investito sulla competitività (a cominciare dal made in Italy da esportazione) è rimasto a galla ed avrà buone opportubnità di sviluppo. Quindi è chiaro che non ci può più improvvisare imprenditori: bisogna strutturarsi ed entrare in rete superando gli individualismi. Inoltre va capito che il mondo delle imprese si sta dividendo: le aziende impegnate nell’export crescono, quelle sottocapitalizzate annaspano e corrono grossi rischi.
Comunque una delle parole d’ordine sarà: fare sistema. Vale per il produttivo, ma anche per il turismo.
La Romagna è uno dei territori più belli d’Italia. Non abbiamo niente da invidiare all’Umbria e alla giustamente blasonata Toscana. Per rendercene conto è sufficiente elencare alcune delle nostre bellezze: il Riminese coi suoi castelli (uniamo San Marino, Gradara e San Leo); la stupenda e “misteriosa” Santarcangelo; la Riviera (da Ravenna a Cattolica) con la sua spiaggia e i suoi parchi; le terme; le peculiarità di Cesena (Malatestiana, piazza del Popolo e Rocca); la Valle del Savio con le sue pievi, a partire da Monte Sorbo; il fascino di Bertinoro, balcone della Romagna; il San Domenico di Forlì e l’architettura fascista forlivese; le saline di Cervia; le enormi ricchezze culturali di Ravenna; la collina faetina con in testa la stupenda Brisighella. Ma ci sarebbe anche tanto altro che poi dovrebbe essere abbinato alle tantissime specialità enogastronomiche che sono il vanto del nosgtro territorio.
Il problema è che troppo spesso ognuno viaggia per conto suo. Non si fa sistema a sufficienza. L’impressione è che facendo un pacchetto Romagna si aprirebbero mercati e opportunità fino ad ora solo sfiorate.
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