Vacanze di Natale, pausa pranzo, casa dei nonni. La figlia maggiore di Francesca Di Roberto – mamma ravennate – ha nove anni e mentre la famiglia è riunita a tavola va in bagno. A un tratto, un urlo disumano. Una monodose di detersivo per lavatrice con cui si era messa a giochicchiare si è aperto, schizzando tutto il liquido in direzione dei suoi occhi: «Sono corsa di là – racconta la madre – e quando ho capito la situazione, ho iniziato a sciacquare mia fi glia ininterrottamente per mezzora». Poi la corsa al pronto soccorso, dove i medici paventano l’ipotesi di un danno alla cornea per uno dei due occhi: «Mia fi glia ha passato dieci giorni al buio, bendata, tra una medicazione e un urlo, tra una pomata e un calmante». Per qualche tempo, poi, la bambina continua a vedere sfocato dall’occhio maggiormente colpito. Fino a che, sei mesi dopo, le vengono messi gli occhiali, con una diagnosi di ipermetropia: «Non sappiamo se a causarla sia stato l’incidente. Fatto sta che alla visita ortottica che avevamo fatto in precedenza, era risultato tutto a posto». Oggi la ragazzina, che ha dieci anni, non ha problemi di vista particolari: « Usa gli occhiali solo a scuola. Ma i dottori mi hanno detto che se non l’avessi sciacquata così bene e così a lungo, avrebbe potuto perdere la vista. Il trauma, poi, l’ha subito eccome: non vuole più sentire l’odore di quel detersivo. Non vuole neanche indossare vestiti lavati con quel prodotto». (s.manz.)
TESTIMONIANZA 2 «Un boccone andato di traverso: così ho salvato la mia bambina»
Sofia aveva sei anni, nel 2008, quando per un boccone di pesce e pane andato di traverso, ha rischiato di soffocare. Un episodio che la mamma Serena Randi, faentina, ricorda ancora con terrore, nonostante sia stata lei a salvare la bambina, grazie alle manovre di disostruzione delle vie aeree che conosceva grazie al suo lavoro di infermiera: «Quella sera stavo preparando del pesce fritto per cena: una parte, in realtà, era già sulla tavola. Mia fi glia giocava intorno al camino, a pochi passi da me: a un tratto mi sono girata e aveva le mani al collo, era cianotica in viso, non riusciva a parlare: era già in apnea». Dopo tre pacche sulla schiena, niente da fare: «Sofi a era sempre più scura in viso. Allora ho provato la manovra di Heimlich, che in genere si fa per gli adulti: ho sferrato un doppio pugno allaltezza della bocca dello stomaco e al secondo tentativo Sofi a ha sputato fuori tutto». Dall’incidente è nato poi il progetto «Viva Sofi a» voluto dal dottor Daniele Donigaglia e portato avanti insieme al «Lions Club Valli Faentine». Lo scopo è sensibilizzare la popolazione – con corsi di formazione ad hoc – sull’importanza delle manovre di rianimazione. (s.manz.)
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