La biblioteca era il mio ducato: l’intellettuale e il potere

Lucrezia Ercoli

Lucrezia Ercoli, Università degli Studi Roma Tre e direttore artistico di “Popsophia”,

L’Epilogo di The Tempest è forse uno dei passi più esoterici dell’intero teatro shakespeariano. Rivolto al pubblico Prospero dice: “Non vogliate, giacché ho riavuto il mio ducato e perdonato al traditore, che io resti ad abitare, in grazia del vostro magico potere, questa isola; ma liberatemi da ogni ceppo con l’aiuto delle vostre valide mani”.

E proprio a questo passo dell’Epilogo si ispira il prossimo appuntamento del festival L’Occidente nel labirinto XIII ed. – La tempesta. Elogio del sogno organizzato dal Circolo Acli ‘L. Valli’ e da 50&PIÙ, intitolato La biblioteca era il mio ducato. L’intellettuale e il potere, che si terrà martedì 26 novembre alle 21 alla Biblioteca Comunale A. Saffi di Forlì (C.so Repubblica 72).

Ne discuteranno Ilario Belloni, Università di Viterbo e Lucrezia Ercoli, Università degli Studi Roma Tre e direttore artistico di “Popsophia”, il primo festival nazionale della pop-filosofia, genere di avanguardia che coniuga la riflessione filosofica e i fenomeni pop della cultura di massa, un vero laboratorio creativo del pensiero contemporaneo dove la filosofia si contamina con musica, cinema, teatro, tv e social media.

Perché Prospero impetra di essere perdonato? Quale colpa sente gravare sulla sua coscienza? Una possibile risposta forse offerta dallo stesso Prospero quando, andando con la memoria al tempo in cui era duca di Milano, confessa di aver preferito la sua biblioteca la governo del ducato, una scelta, questa, che confina pericolosamente con la diserzione.

La preghiera di Prospero pone domande sempre attuali: qual è il compito dell’intellettuale? Quale la sua funzione? E quali i suoi rapporti con il potere? Nel discorso tenuto a Vienna nel ‘36, in occasione dei cinquant’anni di Hermann Broch, Elias Canetti sosteneva che lo scrittore – ma potremmo estendere il discorso alla categoria degli intellettuali in genere – deve farsi “umile e devotissimo schiavo” del proprio tempo. Meglio, suo cane obbediente, “segugio sottomesso”, affetto dal vizio di ficcare dappertutto il suo umido muso; mai pago delle ininterrotte scorribande nei più diversi anfratti dell’epoca, di cui vuol dare una visione d’ insieme senza arretrare spaventato di fronte ad alcuna incombenza.

Contemporaneamente Canetti chiedeva allo scrittore un’ulteriore e opposta virtù. Quella di mettersi contro il proprio tempo: “Contro l’immagine comprensiva e unitaria che solo lui è riuscito a farsene, contro il suo specifico odore, contro il suo aspetto, contro la sua legge”. Quel segugio che va appresso al suo muso per tutta la vita, deve pertanto procedere nella consapevolezza del suo “intimo dissidio”.

Elias Canetti sarà una delle grandi voci del’900 che Lucrezia Ercoli e Ilario Belloni ricorderanno in un suggestivo viaggio.

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