La sanità cambia. Fondamentale adeguarsi

Vietato fermarsi. Ospedali più specializzati e meno ricoveri. Ma tutto è inutile senza una buona dose di umanizzazione

Criticabile finché si vuole, ma il sistema sanitario nazionale è un bene che ci dobbiamo tenere stretto. È dalla riforma del 1978 che abbiamo una copertura totale. Prima, con le mutue, non era così. Per mantenere la situazione attuale è però necessario adeguare continuamente l’offerta. Facendolo si può andare incontro alla richiesta cercando anche di elevare l’offerta. Chi non lo fa (come, ad esempio, le regioni Campania e Calabria) non solo può creare disservizi al proprio territorio, ma mette a rischio la tenuta del sistema solidaristico nazionale dove non ci possono essere sanità a velocità diverse. Per capire la situazione è sufficiente dire che in Campania la tassazione media è di 460 euro contro i 400 dell’Emilia Romagna. Ma da noi ogni anno vengono destinati cinquecento milioni per la non autosufficienza, in Campania neppure un euro. E la non autosufficienza, malattie degenerative comprese, sono una delle vere emergenze.

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Questo perché il sistema sanitario emiliano romagnolo ha cercato di adeguarsi. Questo non vuole dire che va tutto bene, madama e la marchesa. Assolutamente no. Limiti ce ne sono e correzioni vanno fatte di continuo. A partire dai tempi di attesa o dalle file in Pronto soccorso. Problemi reali che però devono essere affrontati assieme a quello dell’appropriatezza. Non è poi così raro che ci siano abusi nella richiesta.

Tutti vorremmo tutto e subito. Non è possibile. Comunque, per come la vedo io, in Emilia Romagna abbiamo un sistema sanitario del quale, tenendo anche conto del panorama nazionale, non ci possiamo lamentare. So già che per questa affermazione rischio di essere fustigato in sala mensa, ma è un azzardo che corro con relativa tranquillità.

È chiaro che la nostra sanità è profondamente cambiata e continua a farlo per.adeguarsi alle nuove caratteristiche dei servizi legati ai progressi scientifici e tecnici. Sono passaggi necessari perché soprattutto in momenti, come quello attuale, di difficile equilibrio economico e finanziario, sballare i conti è facilissimo. Il futuro è meno ospedalizzazione e più spesso specializzazione per le forme acute, circa il cinque per cento. Per il restante 95 per cento serve una rete nel territorio. Quindi è necessaria un’ulteriore inversione di tendenza che porti ad un adeguato dimensionamento dei posti letto delle aree intensive e semi-intensive che oggi sono sottodimensionati. Mentre per la sua degenza ordinaria e day hospital ci può essere una diminuzione di posti letto, anche in considerazione del fatto che si deve sviluppare un ricorso ad approcci diagnostici e terapeutici in regime ambulatoriale o di degenza breve, in particolare per trattamenti chirurgici. Ma serve anche fare aree di degenza intermedia al di fuori del contesto ospedaliero.

Nello stesso tempo gli ospedali, invece, si devono specializzare. Prendiamo il Bufalini, ma soprattutto quello che sarà il nuovo ospedale di Cesena. È chiaro che il fulcro sarà il trauma center. Ma per raggiungere l’obiettivo servirà potenziare la centralizzazione (a livello romagnolo) dei grandi traumi. Neurologici e ortopedici. E andrà fatto con l’ausilio delle discipline per le neuroscienze: neurochirurgia, neurologia, neuroradiologia diagnostica e interventistica.

Tutto questo però mantenendo prioritaria l’umanizzazione del malato. Non costa niente e da grandissimi benefici. Anzi, senza quella non si va da nessuna parte. Un medico può avere anche profondissime conoscenze scientifiche, ma se non ha il giusto approccio col malato non farà mai un buon servizio.

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Davide Buratti

Davide Buratti, giornalista professionista, fondatore della Cooperativa Editoriale Giornali Associati che pubblica il Corriere Romagna, di cui dal 1994 e per 20 anni è stato responsabile della redazione di Cesena. Oggi in pensione scrive di politica, economia e attualità a 360 gradi nel suo blog per Romagna Post. Per contatti utilizzate il box commenti sotto gli articoli. 

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