Quando mi hanno detto che Agrinsieme organizzava a Roma un “Action Tank” ho subito pensato che qualcuno avesse esagerato con il cibo la sera prima e avesse avuto una notte parecchio complicata. Poi, pensandoci bene, mi è parso che la volontà di sostituire fatti e azioni (action) alle idee del più classico think tank (letteralmente: serbatoio di idee) non era immediata, ma nel Paese del chiacchiericcio perenne potesse essere già di per sè un buon programma.
Ancor di più se si decide di mettere il Direttore delle Politiche Internazionali della DG AGRI, John Clarke, attorno allo stesso tavolo con quaranta imprese dell’agroalimentare italiano a discutere su come il commercio internazionale – oltre ad essere una gigantesca leva di sviluppo per i nostri prodotti di qualità – debba essere anche in via prioritaria equo nel considerare importabili dei beni che hanno modalità produttive, in termini di sostanze chimiche ammesse o contratti di lavoro, anche molto diverse dalle nostre.
Gli interventi sono stati molti, anche perché per limitare gli sterili “comizi” si avevano ben due (2) minuti per parlare.
Oltre al racconto dei fatti ed alle esperienze dei diversi settori si è arrivati al punto delicato della trasparenza degli interessi in campo nella realizzazione degli accordi. Interessi diversi tra settori, tra Paesi UE e tra economie più avanzate e meno avanzate.
Vedendo per esempio l’accordo realizzato con il Canada, il caso più recente in questo campo, si capisce che c’è un immenso lavoro da svolgere come settore agroalimentare e come Paese per essere sicuri di essere con i nostri interessi al momento giusto nel posto giusto, agendo con metodo e costanza.
Dalle parole del Ministro Martina, arrivato tardi ed andato via presto, non mi è stato possibile comprendere a che punto siamo in questo percorso. Anche nel suo Ministero.
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