Così nacque il Corriere Romagna

Un quasi miracolo difficilmente ripetibile

CESENA. Fra pochi giorni l’edizione di Forlì-Cesena del Corriere Romagna festeggerà 27 anni. E’ nata poco più di sette mesi dopo la partenza delle edizioni di Rimini e Ravenna. Miracolo è un sostantivo del cui utilizzo si abusa. Ma la nascita del Corriere Romagna è stato qualcosa di molto simile. E’ stato creato da zero in poco di sette mesi e con una disponibilità finanziaria vicina alla zero. I fondatori furono quattro: Davide Buratti (io), Claudio Casali, Federico Fioravanti e Edo Ottaviani. Ma ebbero un ruolo fondamentale anche Flavio Casetti, Irma Galassi e Lucio Nardi. Importante anche l’intervento di Michele Minisci e, quando l’esperienza era già partita, del senatore Bonavita. 

Tutto nasce dalle ceneri delle Gazzette di Longarini. Il 20 gennaio 1993 furono messe in liquidazione e centinaia di giornalisti e altrettanti poligrafici restarono senza lavoro. Tutti cercarono di darsi una risposta. Il gruppo romagnolo si spaccò in due. Entrambi pensavamo alla creazione di una cooperativa. Poi spuntò la Fnsi (Federazione nazionale della Stampa) che voleva tenere unito tutto il gruppo. Oltre alla Romagna c’erano le Marche, la Toscana e la redazione nazionale. Anche il segretario Santerini puntava a fare una cooperativa per poi transitarla in un gruppo nazioinale. Probabilmente Finegil, parte locale del gruppo Repubblica che in tutte quelle aree era scoperta.

Ma, quello della cooperativa, era un progetto che a noi quattro non convinceva, per un motivo molto semplice: non c’erano le basi per accedere ai contributi statali. Allora la legge prevedeva che per ottenerli servisse una testata editata da almeno tre anni o una cooperativa che prendesse i contributi da almeno cinque anni. La Fnsi non aveva nessuna delle due. Sperava di poter mettere le mani sulla testata Gazzetta, ma non c’erano certezze. Noi, grazie a Minisci, trovammo la cooperativa, la Cega (Cooperativa giornali associati). A quel punto si trattava di far partire il progetto. E non avevamo soldi. Solo per sistema editoriale e computer servivano oltre 200 milioni delle vecchie lire. Non era facile anche avendo contro la federazione della stampa.

Una dei momenti più difficili ci fu prima di Pasqua. I vertici Finegil, attraverso Casetti, ci chiesero di fermarci garantendoci l’assunzione quando sarebbe partito il loro progetto. Le parole non furono proprio quelle, ma il senso sì. Noi decidemmo di andare avanti da soli. Ci riuscimmo facendo di necessità virtù. Il capitale sociale (circa cinquecento milioni) fu creato grazie al Tfr. Ognuno dei soci firmò una cambiale garantita dal Tfr che avremmo dovuto incassare dal fallimento delle Gazzette. Per il sistema editoriale un terzo lo pagammo in contanti, per i restanti due terzi trovammo l’accordo con la società di leasing: un terzo coperto dal patto di riacquisto da parte del venditore e l’altro terzo senza garanzie. C’era poi la tipografia che chiedeva fidejussioni per fare i pagamenti: circa sessanta milioni al mese. Non eravamo in grado di farle ed allora patuimmo un pagamento a quindici giorni senza garanzie. 

Sta di fatto che, fra mille difficoltà, il dieci di settembre 1993 tornammo in edicola. Furono sette mesi vissuti in maniera intensissima. La progettazione editoriale e aziendale viaggiavano di pari passo. Furono fatti un’infinità di errori. Era inevitabile. Ma il quasi miracolo riuscì. 

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Davide Buratti

Davide Buratti, giornalista professionista, fondatore della Cooperativa Editoriale Giornali Associati che pubblica il Corriere Romagna, di cui dal 1994 e per 20 anni è stato responsabile della redazione di Cesena. Oggi in pensione scrive di politica, economia e attualità a 360 gradi nel suo blog per Romagna Post. Per contatti utilizzate il box commenti sotto gli articoli. 

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