Lettera del vescovo alla comunità diocesana

Tratta quattro argomenti di estrema attualità

CESENA. Lettera aperta di Douglas Regattieri, vescovo della Diocesi di Cesena Sarsina. Affrontati, in particolare, quattro argomenti.

Siamo ancora dentro al dramma della pandemia. Con il suo carico di paure, di incertezze e di morte, essa, da quando è scoppiato il primo focolaio, continua a segnare la nostra vita sociale ed ecclesiale. Lockdown e coprifuoco, restrizioni e limitazioni si sono succeduti con alti e bassi. I dati sono allarmanti: a tutt’oggi, nel mondo 160 milioni di contagi, 3 milioni e 300.000 vittime; in Italia 4 milioni e 100.000 contagiati, circa 124.000 decessi. In queste settimane la virulenza dell’infezione sembra rallentare la morsa. Quasi tutto il Paese è in zona gialla. Bisogna tuttavia essere prudenti e osservare ancora alcune limitazioni, per il bene nostro personale e per la salute dei nostri fratelli. Procede la vaccinazione della popolazione. Come ci dicono gli esperti, essa è l’unica efficace misura contro il diffondersi del virus. A questo proposito rilancio quanto per bocca del Santo Padre la Chiesa ha affermato: «Tutti, soprattutto le persone più fragili, hanno bisogno di assistenza e hanno diritto di avere accesso alle cure necessarie. Ciò è ancora più evidente in questo tempo in cui siamo chiamati a combattere la pandemia e i vaccini costituiscono uno strumento essenziale per questa lotta». Affrontata seriamente e risolta la questione della moralità dei vaccini, anche di quelli per i quali vengono utilizzate linee cellulari provenienti da feti umani, con il chiaro e autorevole pronunciamento della Congregazione per la Dottrina della Fede e con l’approvazione del Santo Padre, ora la campagna vaccinale non deve trovare ostacoli. Per il bene di tutti. Accanto ai problemi creati dalla pandemia, si sono evidenziati, proprio in questi giorni, altri gravi problemi d’indubbia rilevanza sociale. Sento perciò il dovere d’intervenire e di alzare la mia voce «per amore del mio popolo».

Dopo la lunga riduzione, più o meno accentuata, dell’attività pastorale e dell’azione sacramentale, ora è tempo di riprendere con lena. Richiamando le ultime indicazioni, invito tutti, giovani e anziani, a riappropriarsi della vita ordinaria pastorale, naturalmente con le dovute attenzioni. Non dobbiamo avere paura. Ci attendono eventi ecclesiali importanti come la veglia di Pentecoste (22 maggio), il pellegrinaggio mariano al Monte (31 maggio), la festa del Corpus Domini (3 giugno) e la festa di san Giovanni Battista (24 giugno). Le nostre comunità parrocchiali hanno bisogno di ritrovarsi in presenza e, con gradualità, riprendere la vita consueta (celebrazioni delle Prime Comunioni e delle Cresime, campi e centri estivi, attività catechistiche…).

Dopo gli interventi del Santo Padre, della Conferenza Episcopale Italiana, del nostro settimanale diocesano, sollecitato da diversi fratelli e sorelle, sento il dovere di dire una parola chiara su alcuni temi che in questi giorni sono assurti alle cronache e che vorrei porre all’attenzione della comunità diocesana. Sono temi importanti che – benché molto diversi tra di loro – tuttavia fanno tutti riferimento al dono della vita, alla dignità della persona e della famiglia. Sento il bisogno di parlare per esprimere l’amore che anch’io nutro per il mio popolo, affidato alle mie cure pastorali, pensando così di assolvere al compito di essere come la sentinella (cfr. Is 21, 6.8).

La dignità della persona e della famiglia

Il primo tema su cui desidero intervenire si riferisce al disegno di legge sulla omotransfobia in materia di violenza e discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere (il cosiddetto ddl Zan), in discussione in questi giorni al Senato, dopo aver ricevuto l’approvazione della Camera.

Non si tratta solo di opporsi alla violenza nei confronti delle persone in ragione del loro orientamento sessuale: questo già è previsto dalla Costituzione (vedi art. 3 e Codice penale). Il testo va oltre e induce a ritenere che il solo pensare ed esprimersi diversamente rispetto alle definizioni contenute nel disegno di legge potrebbero apparire come una istigazione e una discriminazione, quindi possano esporre all’accusa di omotransfobia.

Nella definizione dei termini pare ci sia, inoltre, una pericolosa sovrapposizione della dimensione soggettiva con quella oggettiva. Questo è evidente soprattutto quando il ddl definisce l’identità di genere: cioè, «identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrisponde al sesso, indipendentemente dall’aver concluso il percorso di transizione». Si chiedeva sulle pagine di «Avvenire» Francesca Izzo: «È progresso consentire di dichiararsi donna o uomo in base alla propria percezione soggettiva annullando il sesso? O è progresso agire perché donne e uomini, i due sessi che costituiscono l’umanità, siano riconosciuti entrambi pari e liberi?».

L’espressione ‘identità di genere’ mira chiaramente ad annullare la differenza, il dualismo uomo-donna, a vantaggio di un’autopercezione individuale, tesa a cancellare la differenza sessuale, a creare una confusione antropologica che confonde e sicuramente lede il principio di condivisione, reciprocità uomo-donna, su cui si fondano la famiglia e l’educazione. Anche solo a partire da queste poche osservazioni sul ddl Zan non possiamo esprimere che forti perplessità e dubbi.

Noi ci richiamiamo piuttosto a quanto la Dottrina della Chiesa espone con chiarezza a proposito di questi temi. Mi limito a tre citazioni: «Ogni genere di discriminazione circa i diritti fondamentali della persona, sia in campo sociale che culturale, in ragione del sesso, della razza, del colore, della condizione sociale, della lingua o della religione, deve essere superato ed eliminato, come contrario al disegno di Dio». «Spetta a ciascuno, uomo o donna, riconoscere e accettare la propria identità sessuale. La differenza e la complementarità fisiche, morali e spirituali sono orientate ai beni del matrimonio e allo sviluppo della vita familiare. L’armonia della coppia e della società dipende in parte dal modo in cui si vivono tra i sessi la complementarità, il bisogno vicendevole e il reciproco aiuto». «La Tradizione ha sempre dichiarato che “gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati. Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati».

La denatalità

Un altro tema legato alla vita e alla famiglia, alla dignità della persona e al nostro futuro demografico è quello dell’allarmante calo della natalità. È il secondo problema che desidero mettere a fuoco. Ha scritto il nostro quotidiano «Avvenire» in questi giorni: «Il calo delle nascite è, in tutto il mondo, un effetto collaterale della pandemia. Anche la Cina ne è stata interessata con una drastica riduzione demografica, soprattutto a partire dal 2021». Venerdì scorso, il 14 maggio, si sono aperti gli Stati generali della natalità. Papa Francesco era presente e ha rivolto la sua parola invitando tutti ad approfondire la sfida dell’inverno demografico e sollecitare una nuova narrazione sul tema della natalità. Il direttore del nostro settimanale diocesano «Corriere Cesenate», a questo proposito, ha scritto, sul numero scorso, che l’Italia, assieme al Giappone, è uno degli Stati più vecchi del mondo e ha auspicato «robustissime politiche demografiche a sostegno delle famiglie con figli. […] Da noi, un retaggio ideologico frena legislazioni in favore della famiglia in quanto soggetto unico nei confronti dello Stato». Condivido il suo appello: «Ora tocca a noi. Non si può fare finta di non sapere. L’anno di lockdown ha fatto affossare ancora di più, se era ancora possibile, il tasso di natalità, con un – 4 per cento in Emilia-Romagna».

Le armi

Il conflitto arabo-israeliano è riemerso proprio in questi giorni in tutta la sua drammaticità. E con esso ritorna con prepotenza il problema del riarmo. Mentre da una parte si parla di disarmo, dall’altra assistiamo a una corsa dissennata alle armi. È un problema che non ci tocca? È lontano da noi, dai nostri interessi personali, familiari, locali? In verità, in un mondo globalizzato dove tutto è connesso e niente è più isolato, tutto ci riguarda, anche se avviene nell’altro emisfero del pianeta. «Nel 2020, le spese militari mondiali sono aumentate del 2,6% rispetto al 2019, anno record di esborsi, mai così iperbolici dalla fine della guerra fredda. L’anno scorso eserciti e armi hanno fagocitato quasi due trilioni di dollari (1.981 miliardi), a dispetto del crollo della ricchezza mondiale, prevista dal fmi intorno al – 4,4%». Siamo tra i primi dieci Paesi esportatori di armi; è vero che in questa triste graduatoria siamo gli ultimi (al decimo posto), ma sempre tra i primi su scala mondiale. Il sipri rileva che «la pandemia non ha inciso significativamente sulle spese militari mondiali». «Ci sarebbe da pensare alla pace, agli investimenti colossali del post-pandemia e invece i grandi del Pianeta si stanno ri-preparando a scontri fra titani… Fra il 2019 e il 2021, la nostra funzione difesa si è arricchita di 2,8 miliardi di euro»[: 64 miliardi in più del 2019. Di fatto la realtà è che il nostro Paese non ha firmato il Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari. Come non condividere perciò l’appello di alti esponenti del mondo cattolico italiano al Governo e al Parlamento perché ratifichino il Trattato? Si registra purtroppo sul nostro territorio una quarantina di ordigni nucleari (B61) e si stanno ampliando le strutture a Ghedi per ospitare cacciabombardieri F35 per una spesa di oltre 14 miliardi di euro.

Per contro, il Papa non si stanca d’invocare una inversione di marcia su questo problema. A Hiroshima egli ci ha ricordato che «l’uso dell’energia atomica per fini di guerra è, oggi più che mai, un crimine, non solo contro l’uomo e la sua dignità, ma contro ogni possibilità di futuro nella nostra casa comune. L’uso dell’energia atomica per fini di guerra è immorale, come allo stesso modo è immorale il possesso delle armi atomiche, come ho già detto due anni fa. Saremo giudicati per questo. Le nuove generazioni si alzeranno come giudici della nostra disfatta se abbiamo parlato di pace ma non l’abbiamo realizzata con le nostre azioni tra i popoli della terra». E a Nagasaki: «Nel mondo di oggi, dove milioni di bambini e famiglie vivono in condizioni disumane, i soldi spesi e le fortune guadagnate per fabbricare, ammodernare, mantenere e vendere le armi, sempre più distruttive, sono un attentato continuo che grida al Cielo». E, quest’anno, al Corpo diplomatico: «Troppe armi ci sono nel mondo! “Giustizia, saggezza e umanità domandano che venga arrestata la corsa agli armamenti [e che] si riducano simultaneamente e reciprocamente gli armamenti già esistenti”, affermava nel 1963 san Giovanni XXIII. E, mentre con il pullulare delle armi aumenta la violenza ad ogni livello e vediamo intorno a noi un mondo lacerato da guerre e divisioni, sentiamo crescere sempre più l’esigenza di pace, di una pace che “non è solo assenza di guerra, ma è vita ricca di senso, impostata e vissuta nella realizzazione personale e nella condivisione fraterna con gli altri”». Ricordo anche le parole pronunciate nella benedizione Urbi et orbi di Pasqua 2021: «Troppe guerre e troppe violenze ci sono ancora nel mondo! Il Signore, che è la nostra pace, ci aiuti a vincere la mentalità della guerra. Conceda a quanti sono prigionieri nei conflitti, specialmente nell’Ucraina orientale e nel Nagorno-Karabakh, di ritornare sani e salvi alle proprie famiglie, e ispiri i governanti di tutto il mondo a frenare la corsa a nuovi armamenti». Anche nella preghiera alla Madonna, il 1° maggio scorso, aprendo la catena del Rosario nei vari santuari del mondo, il papa ha così pregato: «Maria Santissima, tocca le coscienze perché le ingenti somme usate per accrescere e perfezionare gli armamenti siano invece destinate a promuovere adeguati studi per prevenire simili catastrofi in futuro». Possiamo noi continuare a tacere e far finta di niente? Ognuno di noi, per quello che può, deve fare qualcosa.

Fratelli e sorelle, nel mistero dell’Ascensione che celebriamo in questi giorni, lodiamo il Signore perché la nostra umanità, con Cristo risorto, è portata in Cielo con le sue ferite, le sue debolezze e le sue fragilità: sia questo il pensiero che ci sostiene nell’accettarla e nell’amarla.

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Davide Buratti

Davide Buratti, giornalista professionista, fondatore della Cooperativa Editoriale Giornali Associati che pubblica il Corriere Romagna, di cui dal 1994 e per 20 anni è stato responsabile della redazione di Cesena. Oggi in pensione scrive di politica, economia e attualità a 360 gradi nel suo blog per Romagna Post. Per contatti utilizzate il box commenti sotto gli articoli. 

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