Non so voi, ma io sono stanco di essere rappresentato dal Passatore. Non ritengo giusto che uno dei simboli della Romagna continui ad essere un bandito della peggior specie.
Stefano Pelloni e la sua banda a metà dell’Ottocento hanno terrorizzato buona parte della Romagna. Poi ne è diventato il simbolo essendosi guadagnato la definizione di Passator Cortese, un falso storico. Più di ogni altra cosa, la leggenda è stata costruita dai versi di Giovanni Pascoli. Poi si è determinato l’assurdo: il più violento brigante di strada elevato quasi ad emblema di una regione.
Fra l’altro anche i connotati sono diametralmente opposti a quelli dell’iconografia che lo ha reso famoso. È raffigurato somigliante a un brigante-pastore lucano è armato di un arcaico “trombone”, mentre lui utilizzava le armi più moderne del periodo. Per il resto era alto circa un metro e settanta, aveva capelli neri, occhi marroni e fronte spaziosa. Nel viso, di forma oblunga e di colorito pallido, non aveva barba. Aveva uno sguardo definito truce, determinata in particolare da una bruciatura da polvere da sparo sotto l’occhio sinistro.
Insomma, non c’è niente che risponda alla realtà dei fatti. Ma la cosa grave è il carattere del bandito. Nell’immediato dopoguerra era stato costruito il mito del bandito gentiluomo, ma con il passare del tempo è stata ristabilita la verità. Ed ora tutti sono concordi che Stefano Pelloni da Boncellino non ha niente a che vedere col mito di Robin Hood.
Ed allora è arrivato il momento di dire basta all’abbinamento Passatore-Romagna. Cosa non subito facile in considerazione del fatto che l’Ente tutela vini, fin dal 1962, ha affiancato i propri prodotti al nome del Passatore, utilizzando quell’immagine che, poi, non ha niente a che vedere con i lineamenti del bandito nativo di Boncellino.
Fra l’altro abbiamo anche un’altra responsabilità: mentre in Romagna si susseguono studi e convegni per dimostrare la vera natura di Stefano Pelloni, continuiamo a esportare la sua immagine ricostruendo gli anche una sorta di verginità. Non a caso fuori dalla Romagna in molti, complice anche Pascoli, continuano a credere al mito del bandito gentiluomo. A me, onestamente, non va bene. E non credo di essere l’unico.
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