Persi un milione di posti, ma non si trovano specialisti
CESENA. Non c’è molto da festeggiare. Il mondo del lavoro è stato fortemente penalizzato dalla pandemia. Nei giorni scorsi l’Istat ha ricordato che col Covid si sono persi quasi un milione di posti di lavoro. Sperando che sia finita. Ma c’è un’enorme contraddizione: Mancano i profili tecnici e professionali: solo il 52% del fabbisogno stimato. Lo scrive oggi Il Sole 24 Ore in un articolo firmato da Claudio Tucci che cita uno studio Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) di prossima pubblicazione.
Emerge che nella filiera dell’ istruzione e formazione professionale quasi la metà delle richieste delle imprese non viene soddisfatta per assenza di candidati (o di competenze non in linea con quanto ricercato dai datori). Non è una questione di lana caprina, i numeri sono importanti: su un fabbisogno medio annuo stimato di 153.600 profili tecnico-professionali, l’offerta formativa complessiva è in grado di soddisfarne il 52 per cento. L’ Inapp ha incrociato gli ultimi dati con le stime sulla domanda di lavoro contenute nel rapporto Excelsior 2021-2025. I risultati, scrive Tucci, confermano un quadro per nulla roseo: le sofferenze maggiori riguardano i settori manifatturieri, meccanica, logistica, edilizia, legno; quelli che possono trainare la ripartenza.
Va da sé che questa situazione rischia di creare un pericoloso corto-circuito. Per evitarlo serve interrogarsi su cosa fare per eliminare la discrepanza che c’è fra domanda e offerta. E’ indubitabile che serve un profondo miglioramento dell’istruzione e della formazione tecnica e professionale. Nello stesso tempo è necessario anche un aumento del tasso di partecipazione al lavoro di donne e giovani. Ma anche un profondo intervento nella riqualificazione professionale per i lavoratori adulti, quello che in gergo è definito reskilling. Infatti si calcola che nei prossimi dieci anni circa 375 milioni di lavoratori (il 14 per cento) della forza lavoro globale potrebbe dover cambiare tipo di occupazione. Un recente rapporto del World Economic Forum ha indicato questo come tema centrale dei prossimi anni. E la situazione italiana rischia di essere peggiore in quanto il Belpaese ha la forza lavoro più anziana del mondo dopo Giappone e Germania.
Purtroppo, denuncia Tucci, gli ultimi governi hanno ridotto la scuola-lavoro e il dialogo con le imprese. Quindi serve un profondo cambio di rotta. Anche perché il Centro studi di Confindustria ha stimato che nel 2020 sono risultati introvabili 318 mila diplomati, soprattutto tecnici, pari al 28% degli ingressi totali previsti. Nel 48% dei casi la difficoltà è legata alla carenza di competenze, per il 43% alla scarsa offerta. Secondo Gianni Brugnoli, vice presidente Confindustria con delega al capitale umano, serve aumentare gli iscritti ai percorsi tecnico-professionale.
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