Intervista a Giampiero Boschetti, presidente di CBR e vicepresidente di Legacoop Romagna

«In un Paese in cui tutti sembrano colpiti dal virus del relativismo abbiamo bisogno di un riscatto sociale, un moto di orgoglio per cui la legge del più furbo non sembri l’unica in vigore, specie per le nuove generazioni. Anche perché dall’esterno le cooperative vengono percepite come una cosa sola e quando una ha un problema è come se tutte fossero coinvolte».

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Questa intervista è apparsa nel n.12/2014 del mensile La Romagna Cooperativa

 

Giampiero Boschetti è dal 2008 ai vertici di CBR (Cooperativa Braccianti Riminese) una delle principali realtà cooperativa di produzione lavoro del territorio riminese. La cooperativa opera nel settore delle opere edili infrastrutturali per enti pubblici e  committenti privati. Boschetti è arrivato in CBR nel 1979, assunto come impiegato amministrativo e durante l’attività lavorativa ha conseguito una laurea  in Scienze Politiche e una in Economia e amministrazione delle imprese. Boschetti, nel corso del primo congresso di Legacoop Romagna del 13 novembre scorso a Ravenna, è  stato eletto Vice Presidente, insieme a Luca Panzavolta (Commercianti Indipendenti Associati – Conad) e Massimo Matteucci (CMC). La presidente di CEVICO, Ruenza Santandrea, è la nuova presidente di Legacoop Romagna, associazione che riunisce 447 imprese cooperative di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini.
Boschetti secondo lei qual è il ruolo delle cooperative nel complessità moderna?
Il movimento cooperativo è una risorsa non solo preziosa, ma indispensabile, per formare il senso imprenditoriale e morale della società; uno strumento ideale per superare momenti di difficoltà e di empasse come quelli che stiamo vivendo in questi anni.
La mia stessa cooperativa, con quasi 70 anni di esperienza alle spalle, è sorta nel 1946 dalle ceneri del fallimento di due imprese; fu proprio il Sindacato il catalizzatore della formazione della CBR, ma poi sono state le persone che dentro ci hanno lavorato che l’hanno fatta crescere e diventare un realtà importante.
Ora qual è la difficoltà più grande?
In questo caso mi occorre usare il plurale. Senza dare un triste primato, direi la crisi del sistema economico del Vecchio Continente, sommata all’incapacità tutta italiana di progettare un reale futuro, unitamente a un reale rinnovamento. Accanto a queste difficoltà c’è quella causa/effetto del decadimento dei valori in ampi strati della nostra società. I principali valori con i quali in anni passati si è tenuto assieme il Paese sembrano tutti colpiti dal virus del relativismo, nulla è più certo, vige la legge del più furbo e quindi in modo egoistico, tutto diventa lecito se è a proprio tornaconto personale. Abbiamo bisogno di un riscatto sociale, un moto di orgoglio che consenta il ritorno ad una visone pluralistica, di certezze, di moralità diffusa. Senza questi “ingredienti” saremo costretti a vivere in un Paese depresso e con scarso futuro per le prossime generazioni.
Qual è la forza delle cooperative?
Lo spirito mutualistico. Fondare ora una cooperativa, ma intendo una vera cooperativa, nettandola da opportunismi e opportunisti, è una scommessa con ampi margini di successo; mettere assieme ideali, progetti, denaro, personalità diverse consente di innescare una reazione a catena che può dare del valore aggiunto a iniziative.
Stare assieme è difficile, ma sforzarsi a farlo dà risultati. La cooperazione significa stare  tutti assieme nella diversità, ma verso un obiettivo: la crescita sociale dei propri Soci. In certi settori, senza il movimento cooperativo impegnato nell’inserimento di persone svantaggiate, molti lavoratori non avrebbero avuto possibilità di affrancamento. Le coop sociali oltre a dare valore alle persone permettono consistenti risparmi per le finanze pubbliche, che dovrebbero intervenire direttamente.
…e le coop viste dall’esterno?
Quello che posso riferire è che si viene percepiti esternamente come un mix di pazzi lavoratori che pensano a un modello economico/imprenditoriale superato; oppure che le cooperative debbano lavorare senza mirare ad avere margini per fare crescita.
Quello che dobbiamo dimostrare è che in un’impresa cooperativa prima di tutto vuol direi persone che lavorano, che hanno comuni obiettivi e che il lavoro, pulito, vero, regolarmente retribuito è la matrice del Movimento. Noi scontiamo anche un’altra forte pressione dall’esterno, che vede tutte le cooperative in un unicum, gestite da soggetti anche estranei, e quindi con facilità si viene messi nel frullatore mediatico e si ottiene un insieme non identificabile. Quando una cooperativa ha un problema, o ne provoca uno, sembra che tutte le cooperative siano identiche e quindi il problema è comune, anzi che sia già nei cromosomi di ogni singola impresa cooperativa. Non ritengo opportuno iscrivermi alle olimpiadi dei “distinguo” che molte volte vedo e sento da parte dei colleghi di altre cooperative: dobbiamo saper intervenire preventivamente in quelle realtà dove si pensa possano annidarsi virus che danneggiano non solo la singola realtà, e che mettono a repentaglio il lavoro di tante persone.
a cura di Emer Sani (intervista apparsa nel n.12/2014 della Romagna Cooperativa)

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