Mentre Confindustria lancia segnali ottimistici sull’economia (“Nel primo trimestre del 2015 il Pil crescerà dello 0,5 per cento”), Mario Deaglio, economista, e Carlin Petrini, fondatore di Slow Food, non nascondono il pessimismo. Lo hanno fatto nella terza puntata di “Fischia il vento”, trasmissione realizzata e condotta da Gad Lerner.
Alla domanda: l’Italia deve attrezzarsi per la deindustrializzazione? la risposta di Deaglio è stata di quelle che non ammettono repliche, ma ancora più concreta è stata l’analisi. “In Italia – ha detto – la deindustrializzazione c’è di fatto. Dobbiamo renderci conto che lo sviluppo non è solo l’industria che sarà minoritaria e avremo sempre più la concorrenza di cinesi, indiani e così via”.
Deaglio poi ha mostrato ulteriore pessimismo: “A volte mi sento come un medico di fronte a un malato molto grave. Con le conoscenze che ho credo che non ce la farà. Poi, come il medico, mi dico che qualcosa bisogna fare”.
Carlin Petrini è andato oltre: “Per troppo tempo la nostra società si è basata su un consumo delle energie superiore a quelle prodotte. Ci vuole una logica meno espansiva, che dilapidi meno le risorse. Ai giovani bisogna smettere di annunciare cose che non verranno”.
Insomma, sia Deaglio che Petrini certificano che sia necessario guardare ad un nuovo modello di società e, soprattutto, che si debba fare chiarezza: quello attuale non è uno stato di crisi, ma la situazione reale del paese. Quella dalla quale (speriamo non peggiori) si dovrà ripartire sapendo che nulla sarà come prima. Del resto se il Pil procapite è precipitato ai livelli del 1997 (dati Confindustria) e i consumi sono congelati serve una ricetta completamente nuova ed è inutile esaltarsi per uno zero virgola in più o deprimersi per un decimale negativo.
E ha molte ragioni Deaglio quando sostiene che ci si concentra troppo sul modello industriale. E’ vero che siamo un paese manifatturiero, ma il comparto è destinato a comprimersi.
Ed allora bisogna avere la capacità di percorrere altre strade. Nei giorni scorsi un editoriale del Corriere della Sera (Il tesoro che l’Italia disprezza) a firma di Gian Antonio Stella ha messo a nudo la sottovalutazione che il governo sta facendo verso il turismo, un settore che potrebbe dare moltissimo al nostro paese e che nel 2013 ha garantito il 4.2 per cento del Pil, quota che sale al 10,3 se comprendiamo l’indotto. Inoltre è un settore che occupa dieci volte più della chimica e, con l’indotto, più della meccanica.
L’ultimo dossier del World Economic Forum, scrive Stella, ci rinfaccia, per di più il modo in cui gestiamo le nostre ricchezze paesaggistiche. Che, come tutti sappiamo, sono tantissime, inestimabili e non imitabili.
Ebbene, ritengo io, è questo il punto da cui partire. Non solo a livello nazionale, ma soprattutto locale. In Romagna abbiamo tutto: mare, collina, entroterra, bellezze paesaggistiche e culturali, enogastronomia. Manca solo una cosa: la messa a sistema. Dobbiamo capire che se ognuno continuerà a difendere il proprio orticello non saremmo mai vincenti.
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