Da opportunità a trappola. Studio della Cgil regionale. Esplosione dopo la legge Fornero. Italia anomala in Europa. Le categorie per le quali erano nati li usano pochissimo. Interessati giovani e donne. Crolla l'età media
Non è la prima volta che succede e, probabilmente, non sarà nemmeno l’ultima che di uno strumento potenzialmente interessante se ne fa un abuso e non solo lo si depotenzia, ma lo si rende inviso. Nel caso specifico sono i voucher. Nati per dare una risposta a particolari categorie di persone, ora se ne fa un abuso in tutt’altra direzione e chi ne usufruisce meno sono proprio coloro a cui, inizialmente erano destinati. Il problema è che eleva alla massima potenza il problema, già cronico, della precarizzazione provocando, quindi, guasti nel tessuto sociale. A farne le spese sono soprattutto giovani e donne. Ma la maglia di sta allargando in maniera pericolosa.
Il mondo dei voucher è stato analizzato da un accurato studio della Cgil regionale. Se ne sono occupati Gianluca De Angelis e Marco Marrone. Non si è trattato di un lavoro facile in quanto i dati ufficiali sono pochi.
Emerge che i voucher hanno, per l’azienda, un costo minimo di dieci euro all’ora, 7,5 vanno al lavoratore. Sono una forma di impiego attrattivo grazie alla duttilità e semplicità. Il lavoro accessorio in Italia è partito nel 2003 (legge Biagi) poi ha subito un’accelerazione con la legge Fornero. A quel punto i voucher hanno conosciuto una progressiva liberalizzazione “che ha distanziato sempre più – si legge nello studio della Cgil – il dispositivo dai suoi intenti originali e aperto la strada a un utilizzo che sostituisce il contratto di lavoro e, in particolare, il contratto di subordinazione”.
Secondo lo studio della Cgil i voucher non sono riusciti in uno dei suoi intenti: far emergere il lavoro nero. Però hanno rivoluzionato il mercato del lavoro perché consentono “forme di impiego al di là del contratto di lavoro in quanto dotati di una grammatica che trascende il tradizionale vocabolario del lavoro, autonomo e subordinato. Non c’è però un nuovo profilo di lavoro autonomo. Piuttosto i prestatori sembrano essere esposti alla nuda subordinazione priva di ogni vincolo”.
E questa, secondo la Cgil, è un’anomalia soprattutto italiana. La spinta ad una maggiore flessibilizzazione del lavoro è uno dei tratti caratterizzanti delle politiche europee degli ultimi anni. Ma sui voucher in Italia c’è stata un’accelerazione. “L’evoluzione giuridica dello strumento – recita lo studio della Cgil – in Italia si è progressivamente intrecciata alla ristrutturazione in senso liberista del mercato del lavoro. Negli altri paesi europei, invece, il sistema dei voucher resta un meccanismo residuale, di contrasto al lavoro irregolare in settori specifici storicamente meno regolamentati, come, ad esempio, il lavoro a domicilio”. Nel contempo la legislazione italiana è definita farraginosa e spesso contraddittoria, che “ha composto una trama complessa fatta di ambiguità e nodi mai chiariti, determinando come risultante una crescente attrattività del lavoro accessorio come dumping”.
L’Emilia Romagna è una delle regioni protagoniste dell’aumento dell’utilizzo dei voucher. Per quanto riguarda i settori si nota una progressiva diminuzione nel settore agricolo (dall’8,3 per cento al 2,5). Cali anche nel commercio, nei servizi e nel turismo. Ma non in Romagna. A Rimini, ad esempio, l’incremento dell’acquisto nel settore turistico avviene mentre c’è un decremento di contratti subordinati. Crescono le non classificate nelle quali è compreso anche il manifatturiero. Insomma si ha sempre più l’impressione che il voucher si trasformi in una trappola nella quale restano impigliati lavoratori nel pieno dell’età attiva che spesso restano intrappolati in un susseguirsi di prestazioni senza mai raggiungere una stabilità. E questo è dimostrato anche dall’età degli interessati. La classe più interessata è quella fra i 20 e i 29 anni (37 per cento). Ma crescono anche le altre: 30-39 anni e 40-49. Invece l’incidenza è molto bassa (sei per cento) negli anziani (60-69 anni) che, invece, dovevano essere i principali fruitori. Non a caso l’età media degli utilizzatori sta crollando, dai 59,8 del 2008 è scesa a 35,9.
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