Si è superato il limite

Post di Gian Paolo Castagnoli, giornalista cesenate

CESENA. La morte del sindacalista è il tema trattato da Gian Paolo Castagnoli, giornalista cesenate, nel suo ultimo post su Facebbok.

“Adesso te lo dico io per cosa è morto Adil. È morto perché pensava che non si può vivere così per 850 euro al mese, senza tutele, senza vita privata, perché i turni vengono sempre spostati all’ultimo momento, le ferie non le decidi tu ma il capoarea, se chiedi un permesso per andare a prendere tuo figlio a scuola ti lasciano a casa per una settimana in punizione, e il lavoro dura sempre 13 ore invece che 8, con gli straordinari sempre dimezzati e anche di notte ti arrivano sul telefono i messaggi con l’ordine di essere in magazzino all’alba. È morto perché credeva che fosse giusto stare davanti a quei cancelli”. Queste parole, pronunciate da un lavoratore, sono uno schiaffo per tutti. E devono fare riflettere profondamente su un certo clima che si sta creando e su ragionamenti che sto sentendo fare da qualche tempo da troppi imprenditori, stupiti e infastiditi dal fatto che qualcuno non accetti di farsi sfruttare e abbia l’ardire di protestare e magari scioperare per dire basta.

Qua si sta davvero scherzando col fuoco, perché quello che stiamo vivendo ė un periodo molto difficile dal punto di vista economico e occupazionale e lo diventerà ancora di più nei prossimi mesi. Se gli imprenditori non capiranno il significato dell’espressione “responsabilità sociale”, che è scritta nella nostra Costituzione, si scatenerà l’inferno. L’articolo 41 è chiarissimo. Sancisce che “l’iniziativa economica privata è libera” ma subito dopo precisa che “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Mi pare che tanti datori di lavoro (non tutti, per fortuna) facciano finta che la seconda parte di quell’articolo non esista. L’attenzione ora è comprensibilmente e giustamente concentrata su quel sindacalista ammazzato a Novara dal camion che lo ha travolto mentre stava esercitando il suo diritto di manifestare in difesa dei diritti degli addetti del settore della logistica, una delle categorie in cui le condizioni dei lavoratori sono più indecenti. Ma io vorrei anche sapere a quale stress poteva essere sottoposto l’autista killer per fare quella manovra così pericolosa nel bel mezzo di un presidio sindacale. Quante pressioni gli aveva fatto la società che lo aveva incaricato di fare quella consegna? Quali ritmi pretende dai suoi dipendenti?

Sono domande che bisognerà farsi e alle quali bisognerà rispondere in modo onesto per evitare di pensare che alla fine quanto è accaduto sia stato solo uno sfortunato incidente e che al limite il colpevole sia un altro lavoratore che è stato imprudente. Non sarebbe accettabile liquidare in quel modo una tragedia del genere. Non solo perché non si può morire così a 37 anni, lasciando una moglie sola con due figli di 4 e di 6 anni da crescere, ma perché dietro c’è molto di più. Un di più che non si può continuare a far finta di non vedere e che rischia di esplodere in modo devastante se continueremo a ritenere normale o comunque inevitabile che in certe imprese si lavori in condizioni di sfruttamento disumano, che a volte sfiorano davvero la schiavitù. La morte di Adil non è una fatalità, non è un incidente di percorso, non è una sciagura imprevedibile. Facciamo sì che almeno non sia del tutto inutile.

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Davide Buratti

Davide Buratti, giornalista professionista, fondatore della Cooperativa Editoriale Giornali Associati che pubblica il Corriere Romagna, di cui dal 1994 e per 20 anni è stato responsabile della redazione di Cesena. Oggi in pensione scrive di politica, economia e attualità a 360 gradi nel suo blog per Romagna Post. Per contatti utilizzate il box commenti sotto gli articoli.