Resilienza a scuola, breve riflessione di fine ottobre

«I miei alunni mi stanno dando una lezione di resilienza: esserci nonostante tutto, continuare a impegnarsi nelle attività didattiche, anche se le condizioni non sono più le stesse di una vita scolastica normale. E intanto continuo a guardarli, e mi sento orgogliosa di loro, perché hanno una forza di resistenza, di volontà a non rinunciare alla costruzione del loro futuro che mi colpisce; e mi dà la misura di quanto il mio lavoro abbia ancora un senso».

Riceviamo e pubblichiamo dalla docente forlivese Donatella Rabiti questo interessante contributo

Stamattina c’è una verifica in classe. Il 75% degli allievi sta seguendo con connessione da remoto: ho assegnato loro un lavoro di sintesi di ripasso degli argomenti svolti nelle lezioni precedenti, che consegneranno sulla piattaforma scolastica in cui è stata creata la nostra classe virtuale. Quando  sarà il loro turno, e potranno venire a scuola, toccherà a loro svolgere il compito in classe.

Dalle finestre aperte entra un dolce tepore, e mi viene in mente Pascoli, è l’“estate fredda” autunnale. Non ho potuto fare a meno di fissare alcune immagini di questa mattinata. I pochi ragazzi in presenza sono chini sul foglio e concentrati nel loro lavoro: sanno che la prossima settimana saranno tutti a casa, e i loro compagni, che oggi sono in connessione, tra due settimane saranno seduti dove ora sono loro, a scuola, seguendo il calendario della turnazione delle classi del nostro istituto scolastico. Non hanno tempo da perdere, lo so che stanno pensando a questo. Vogliono sfruttare al massimo le ore che possono trascorrere qui, a scuola. Lo percepisco dal loro sguardo serio, dalla loro postura rigida, dai gesti con cui sistemano sul banco il foglio protocollo, la penna e il cellulare spento. Fino a otto o nove mesi fa avrebbero impiegato più tempo per prepararsi per una verifica scritta. Stamattina sono stata io ad attardarmi nell’assegnare la consegna: loro mi guardavano silenziosi e immobili.

Stanno dimostrando di possedere una serietà e una consapevolezza di cui in pochi, fra noi adulti e docenti, conoscevamo l’esistenza prima dello scoppio della pandemia. I miei alunni mi stanno dando una lezione di resilienza: esserci nonostante tutto, continuare a impegnarsi nelle attività didattiche, anche se le condizioni non sono più le stesse di una vita scolastica normale. E intanto continuo a guardarli, e mi sento orgogliosa di loro, perché hanno una forza di resistenza, di volontà a non rinunciare alla costruzione del loro futuro che mi colpisce; e mi dà la misura di quanto il mio lavoro abbia ancora un senso.

Provo a entrare, per un attimo, nella loro testa e a carpire i loro pensieri. Quali immagini, idee, desideri, aspirazioni, sogni stanno popolando le loro menti? Quale colore prevarrà? Il nero del pessimismo? Il verde e il rosso della speranza e dell’amore? Credo, con una certa apprensione, che se potessi scrutare dentro di loro vedrei un unico colore, una scia grigia di attesa di ciò che le prossime settimane ci riservano. Ma voglio anche pensare che, osservando meglio, si scorgerebbe qualche sfumatura di azzurro, giallo, rosso. Perché loro, i nostri ragazzi, sono germogli “in fieri”, potenzialità che stanno trovando la loro strada, delineando, con la fatica dell’adolescenza, i contorni unici e irripetibili delle loro personalità.

E quando, nelle pause tra una lezione e l’altra, noi insegnanti ripetiamo che, se insistiamo fino allo sfinimento che occorre rispettare le regole dettate dall’emergenza sanitaria (mascherina, distanziamento, gel igienizzante) lo facciamo per la loro e la salute di tutti, ci guardano in silenzio e fanno cenno di sì con la testa; ma poi, sconsolati, abbassano gli occhi sul display del cellulare. E io mi dico: ma che razza di tempi sono toccati ai loro sedici, diciassette e diciotto anni? E’ una adolescenza vera questa? Come fanno a vivere e a risolvere i conflitti tipici della loro età, a ribellarsi, ad argomentare le loro opinioni contro le imposizioni di noi adulti, se non possono opporsi ai grandi perché il pericolo derivante dall’emergenza sanitaria non lo permette? La pandemia ha costretto il naturale straripamento delle emozioni dell’adolescenza a restare incanalato negli argini delle regole rigide della sicurezza sanitaria, e la crescita dei nostri studenti sta prendendo una svolta imprevista.

In fondo all’aula, dalla parte della finestra aperta, un riflesso luccicante illumina la parete. I ragazzi stanno riflettendo: qualcuno tiene la penna in mano, ma non scrive, qualcun altro guarda il foglio, e poi alza lo sguardo davanti a sé, mentre alcuni stanno rileggendo la consegna. A cosa staranno pensando? Mi piace credere che stiano organizzando le loro idee con la stessa spinta a esplorare, scoprire e conoscere con cui progetteranno la loro vita quando entreranno nel mondo degli adulti.

Provo a immaginarmeli i miei studenti, fra quindici o vent’anni. Forse qualcuno di loro si ricorderà di questa mattina, di un compito in classe svolto in un giorno di fine ottobre di uno strano anno scolastico, non paragonabile ad altri.

E c’era il sole che illuminava la parete in fondo all’aula.

DONATELLA RABITI

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